Dote
Dote (lat. do, dono)
Istituto abrogato dalla L. 151/1975, che ha riformato il diritto di famiglia italiano dando attuazione al principio costituzionale (art. 29 Cost.) della parità dei coniugi.
La (—) era costituita da beni e danaro che la moglie portava al marito nel momento del matrimonio per contribuire alle spese familiari. Da essa si distinguevano i cd. beni parafernali che erano, invece, attribuiti dal padre alla sposa e rimanevano sempre in sua completa disponibilità, pur se destinati alle spese della famiglia.
Le doti costituite anteriormente alla riforma, comunque, restano salve e per esse rimangono in vigore le norme precedenti.
Già nel diritto romano si definiva dos ogni apporto patrimoniale (beni mobili o immobili, crediti, altri diritti), che la moglie o il suo pater familias o un terzo faceva al marito, ad sustinènda ònera matrimònii, ossia per sostenerlo economicamente nelle spese derivanti dalla conduzione della vita matrimoniale. La dote poteva essere data o promessa.
In costanza del matrimonio, l’amministrazione del patrimonio dotale spettava al marito. Nell’espletamento di tale compito, egli doveva custodire e curare i beni conferiti in (—) dalla moglie, adottando la diligenza del buon padre di famiglia e rispondendo della loro perdita o del loro deterioramento, non solo per dolo ma anche per colpa grave e colpa lieve. Allo scioglimento del matrimonio, il marito doveva restituire la (—) alla moglie o al suo parente più stretto (qualora il pater familias fosse defunto) o al terzo che avesse costituito la (—).
Mentre in epoca arcaica l’obbligo materiale di restituzione sorgeva solo se il marito si fosse impegnato in tal senso, all’atto di costituzione, con apposita stipulatio (càutio o stipulatio rei uxòriae), in età repubblicana fu introdotto il principio in forza del quale tale obbligo incombeva sul marito, nel caso di scioglimento del matrimonio per divorzio [vedi], in via automatica e, a tal fine fu accordata alla moglie un’apposita azione (actio rei uxoriae).
In età postclassica, l’azione era concessa sempre, a prescindere dalla causa di scioglimento del matrimonio e prese il nome di actio de dote.
La restituzione della (—) doveva essere immediata, per le cose infungibili non stimate; andava, invece, effettuata in tre rate annuali (annua, bina, trina die) se si trattava di denaro o altre cose fungibili.
In età longobarda [vedi Longobardi] l’istituto della (—) venne generalmente disapplicato, per fare spazio al faderfio [vedi].
Fu intorno al secolo XII che l’istituto dotale si riaffermò e si diffuse nella pratica italiana.
I Glossatori [vedi] individuarono nelle fonti romane le due principali figure di (—): la dos aestimata (costituita dai beni il cui valore era stato stimato al momento della costituzione della (—), al fine di rendere più agevole per il marito l’adempimento dell’obbligo di restituzione del valore, in caso di scioglimento del matrimonio, qualora le res dotales fossero distrutte o deteriorate) e la dos inaestimata.
I beni non stimati (praedia dotalia) erano inalienabili, anche qualora la moglie avesse aderito ad un’iniziativa del marito, mentre erano alienabili quelli stimati.
Ripetendo le linee del diritto romano, i Glossatori assegnarono alla (—) la funzione di sostenere i pesi del matrimonio. Ove la (—) fosse mancata o si fosse rivelata insufficiente, il marito era ugualmente tenuto a corrispondere alla moglie e ai figli gli alimenti e le cure mediche, ma solo in via sussidiaria, ossia solo dopo che la moglie avesse usato i beni di sua esclusiva proprietà (parafernali) o dopo che si fosse rivolta al padre.
Istituto abrogato dalla L. 151/1975, che ha riformato il diritto di famiglia italiano dando attuazione al principio costituzionale (art. 29 Cost.) della parità dei coniugi.
La (—) era costituita da beni e danaro che la moglie portava al marito nel momento del matrimonio per contribuire alle spese familiari. Da essa si distinguevano i cd. beni parafernali che erano, invece, attribuiti dal padre alla sposa e rimanevano sempre in sua completa disponibilità, pur se destinati alle spese della famiglia.
Le doti costituite anteriormente alla riforma, comunque, restano salve e per esse rimangono in vigore le norme precedenti.
Già nel diritto romano si definiva dos ogni apporto patrimoniale (beni mobili o immobili, crediti, altri diritti), che la moglie o il suo pater familias o un terzo faceva al marito, ad sustinènda ònera matrimònii, ossia per sostenerlo economicamente nelle spese derivanti dalla conduzione della vita matrimoniale. La dote poteva essere data o promessa.
In costanza del matrimonio, l’amministrazione del patrimonio dotale spettava al marito. Nell’espletamento di tale compito, egli doveva custodire e curare i beni conferiti in (—) dalla moglie, adottando la diligenza del buon padre di famiglia e rispondendo della loro perdita o del loro deterioramento, non solo per dolo ma anche per colpa grave e colpa lieve. Allo scioglimento del matrimonio, il marito doveva restituire la (—) alla moglie o al suo parente più stretto (qualora il pater familias fosse defunto) o al terzo che avesse costituito la (—).
Mentre in epoca arcaica l’obbligo materiale di restituzione sorgeva solo se il marito si fosse impegnato in tal senso, all’atto di costituzione, con apposita stipulatio (càutio o stipulatio rei uxòriae), in età repubblicana fu introdotto il principio in forza del quale tale obbligo incombeva sul marito, nel caso di scioglimento del matrimonio per divorzio [vedi], in via automatica e, a tal fine fu accordata alla moglie un’apposita azione (actio rei uxoriae).
In età postclassica, l’azione era concessa sempre, a prescindere dalla causa di scioglimento del matrimonio e prese il nome di actio de dote.
La restituzione della (—) doveva essere immediata, per le cose infungibili non stimate; andava, invece, effettuata in tre rate annuali (annua, bina, trina die) se si trattava di denaro o altre cose fungibili.
In età longobarda [vedi Longobardi] l’istituto della (—) venne generalmente disapplicato, per fare spazio al faderfio [vedi].
Fu intorno al secolo XII che l’istituto dotale si riaffermò e si diffuse nella pratica italiana.
I Glossatori [vedi] individuarono nelle fonti romane le due principali figure di (—): la dos aestimata (costituita dai beni il cui valore era stato stimato al momento della costituzione della (—), al fine di rendere più agevole per il marito l’adempimento dell’obbligo di restituzione del valore, in caso di scioglimento del matrimonio, qualora le res dotales fossero distrutte o deteriorate) e la dos inaestimata.
I beni non stimati (praedia dotalia) erano inalienabili, anche qualora la moglie avesse aderito ad un’iniziativa del marito, mentre erano alienabili quelli stimati.
Ripetendo le linee del diritto romano, i Glossatori assegnarono alla (—) la funzione di sostenere i pesi del matrimonio. Ove la (—) fosse mancata o si fosse rivelata insufficiente, il marito era ugualmente tenuto a corrispondere alla moglie e ai figli gli alimenti e le cure mediche, ma solo in via sussidiaria, ossia solo dopo che la moglie avesse usato i beni di sua esclusiva proprietà (parafernali) o dopo che si fosse rivolta al padre.