Diritto comune
Diritto comune
Grandioso fenomeno giuridico, che si colloca al centro della storia europea del diritto.
L’espressione designa il diritto romano giustinianeo [vedi Corpus iuris civilis] e il diritto canonico [vedi], così come furono elaborati ed interpretati tra i secoli XII-XVIII dalla dottrina e dalla giurisprudenza dell’Europa occidentale [vedi Glossatori].
L’identificazione del (—) col diritto romano affonda le sue radici nell’Alto Medioevo e si ricollega alla rinascita dell’impero [vedi Renovatio imperii] attuata nei secoli IX e X in seguito all’opera unificatrice di Carlo Magno [vedi] prima, degli Ottoni [vedi Ottone I di Sassonia il Grande; Ottone II; Ottone III] e degli Svevi [vedi] poi. Alla concezione universalistica medievale del sacrum imperium, inteso come sancta romana respublica universale e indivisibile, non poteva non fare riscontro una visione universalistica anche nella sfera del diritto: ad un unico impero non poteva che corrispondere un solo diritto (ius commune), volto a disciplinare la vita giuridica di tutti i popoli riuniti nell’impero e partecipi di un comune patrimonio di valori spirituali e culturali.
Il rinnovato impero romano-cristiano era considerato come posto al servizio del genere umano per volontà divina e l’unum ius in grado di regolare i rapporti intersoggettivi era ritenuto il diritto romano, universale espressione della volontà dell’imperatore. I principi ispiratori di tale universalistica concezione politico-giuridica sono contenuti in un trattatello del secolo XII, intitolato Quaestiones de iuris subtilitatibus [vedi], che la recente storiografia attribuisce al glossatore bolognese Piacentino [vedi].
È merito dei primi giuristi di Bologna di avere realizzato l’elaborazione dottrinale del diritto romano giustinianeo [vedi Corpus iuris civilis] come unum ius per tutti i popoli dell’impero e di aver considerato l’imperatore quale unico legittimo depositario del diritto, intendendo per diritto il diritto romano.
Con la scuola di Bologna il diritto romano giustinianeo, vecchio di seicento anni, venne elaborato come diritto vigente, come legge che, nel serrato confronto con le legislazioni particolari (iura propria) del tempo (costituzioni degli ordinamenti monarchici, consuetudini feudali e statuti comunali e corporativi) si poneva come legge generale e sovraordinata. In definitiva, il contrasto tra diritto romano (ius commune dell’impero) e iura propria fu risolto non attraverso la negazione dell’esistenza della pluralità degli ordinamenti minori, ma attraverso la costruzione di un sistema delle fonti del diritto, in cui il diritto romano era legge comune (ius commune) sovrastante i diritti particolari.
Quando nei secoli XIV e XV i vari ordinamenti particolari acquistarono autonomia rispetto alla compagine universale dell’impero, il (—) assunse un carattere integrativo e sussidiario, ossia venne applicato solo nell’ipotesi in cui non vi fossero norme particolari che disponessero per il caso concreto. Fu tuttavia con l’avvento dei principati [vedi] che si determinò la definitiva crisi del (—): venendo meno l’idea che i popoli facessero parte di una unità spirituale e culturale, conseguentemente crollò l’idea di un diritto romano comune e universale e, per converso, si affermò il principio secondo cui nei territori soggetti al principe il primo ius commune fosse non il diritto romano giustinianeo (ossia un diritto imperiale) ma il placitum principis, cioè la diretta espressione della volontà del monarca. Il diritto romano conservò il carattere di sussidiarietà rispetto alle leggi principesche, anche se per i suoi caratteri di superiore completezza si elevò sempre al di sopra dei diritti particolari che lo recepivano.
Da un punto di vista dottrinale si pose quale base del (—) anche il diritto canonico e l’integrazione tra ius canonicum e ius civile diede luogo ad un sistema che venne espresso con l’endiadi utrumque ius [vedi]. A differenza del diritto romano giustinianeo, che ad un certo punto della sua evoluzione assunse carattere suppletivo, il diritto canonico fu (—) in maniera specifica, perchè non tollerò mai di essere derogato o integrato dagli iura propria ed inoltre non si evolse attraverso un’attività giurisprudenziale ma soltanto attraverso l’attività legislativa del pontefice.
Grandioso fenomeno giuridico, che si colloca al centro della storia europea del diritto.
L’espressione designa il diritto romano giustinianeo [vedi Corpus iuris civilis] e il diritto canonico [vedi], così come furono elaborati ed interpretati tra i secoli XII-XVIII dalla dottrina e dalla giurisprudenza dell’Europa occidentale [vedi Glossatori].
L’identificazione del (—) col diritto romano affonda le sue radici nell’Alto Medioevo e si ricollega alla rinascita dell’impero [vedi Renovatio imperii] attuata nei secoli IX e X in seguito all’opera unificatrice di Carlo Magno [vedi] prima, degli Ottoni [vedi Ottone I di Sassonia il Grande; Ottone II; Ottone III] e degli Svevi [vedi] poi. Alla concezione universalistica medievale del sacrum imperium, inteso come sancta romana respublica universale e indivisibile, non poteva non fare riscontro una visione universalistica anche nella sfera del diritto: ad un unico impero non poteva che corrispondere un solo diritto (ius commune), volto a disciplinare la vita giuridica di tutti i popoli riuniti nell’impero e partecipi di un comune patrimonio di valori spirituali e culturali.
Il rinnovato impero romano-cristiano era considerato come posto al servizio del genere umano per volontà divina e l’unum ius in grado di regolare i rapporti intersoggettivi era ritenuto il diritto romano, universale espressione della volontà dell’imperatore. I principi ispiratori di tale universalistica concezione politico-giuridica sono contenuti in un trattatello del secolo XII, intitolato Quaestiones de iuris subtilitatibus [vedi], che la recente storiografia attribuisce al glossatore bolognese Piacentino [vedi].
È merito dei primi giuristi di Bologna di avere realizzato l’elaborazione dottrinale del diritto romano giustinianeo [vedi Corpus iuris civilis] come unum ius per tutti i popoli dell’impero e di aver considerato l’imperatore quale unico legittimo depositario del diritto, intendendo per diritto il diritto romano.
Con la scuola di Bologna il diritto romano giustinianeo, vecchio di seicento anni, venne elaborato come diritto vigente, come legge che, nel serrato confronto con le legislazioni particolari (iura propria) del tempo (costituzioni degli ordinamenti monarchici, consuetudini feudali e statuti comunali e corporativi) si poneva come legge generale e sovraordinata. In definitiva, il contrasto tra diritto romano (ius commune dell’impero) e iura propria fu risolto non attraverso la negazione dell’esistenza della pluralità degli ordinamenti minori, ma attraverso la costruzione di un sistema delle fonti del diritto, in cui il diritto romano era legge comune (ius commune) sovrastante i diritti particolari.
Quando nei secoli XIV e XV i vari ordinamenti particolari acquistarono autonomia rispetto alla compagine universale dell’impero, il (—) assunse un carattere integrativo e sussidiario, ossia venne applicato solo nell’ipotesi in cui non vi fossero norme particolari che disponessero per il caso concreto. Fu tuttavia con l’avvento dei principati [vedi] che si determinò la definitiva crisi del (—): venendo meno l’idea che i popoli facessero parte di una unità spirituale e culturale, conseguentemente crollò l’idea di un diritto romano comune e universale e, per converso, si affermò il principio secondo cui nei territori soggetti al principe il primo ius commune fosse non il diritto romano giustinianeo (ossia un diritto imperiale) ma il placitum principis, cioè la diretta espressione della volontà del monarca. Il diritto romano conservò il carattere di sussidiarietà rispetto alle leggi principesche, anche se per i suoi caratteri di superiore completezza si elevò sempre al di sopra dei diritti particolari che lo recepivano.
Da un punto di vista dottrinale si pose quale base del (—) anche il diritto canonico e l’integrazione tra ius canonicum e ius civile diede luogo ad un sistema che venne espresso con l’endiadi utrumque ius [vedi]. A differenza del diritto romano giustinianeo, che ad un certo punto della sua evoluzione assunse carattere suppletivo, il diritto canonico fu (—) in maniera specifica, perchè non tollerò mai di essere derogato o integrato dagli iura propria ed inoltre non si evolse attraverso un’attività giurisprudenziale ma soltanto attraverso l’attività legislativa del pontefice.