Dante Alighieri
Dante Alighieri (Firenze 1265 – Ravenna 1321)
Poeta, scrittore e uomo politico.
Ha qui rilievo per il contributo fornito ai concetti politici e giuridici medievali. In tal senso l’opera maggiormente attinente è il De Monarchia (1312-1313). Esso fu scritto in occasione della venuta in Italia dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, che nel 1311 scese nella penisola per farsi incoronare, nell’intento di restaurare l’autorità superiore dell’impero [vedi Sacro romano impero].
Nel De Monarchia (—) distinse nettamente la Chiesa e l’impero, senza stabilire alcun rapporto di gerarchia fra i due ordini. In considerazione della dualità della natura umana, l’uomo apparve a (—) destinato a due fini diversi: l’uno incorruttibile, l’altro corruttibile. Ed è all’impero che egli affidò il compito di guidare l’uomo al suo fine di essere corruttibile.
Nel De Monarchia (—) affrontò tre problemi: se l’impero fosse necessario al bene del mondo; se i Romani avessero avuto tale diritto; se l’impero derivasse direttamente da Dio. Egli considerò l’unità politica della civiltà universale come naturale. Ritenendo che l’attività di conoscenza fosse possibile solo all’umanità nel suo complesso, (—) rinvenne tale fine nell’unità politica del genere umano. Essa si sarebbe storicamente realizzata con il regno di Augusto (27 a.C.-14 d.C.), durante il quale, come nel paradiso terrestre, si era avverata la felicità umana: non è un caso, per (—), che Gesù sia venuto al mondo durante tale periodo. Augusto nel campo temporale, Cristo in quello spirituale, fecero la felicità dell’uomo.
La realizzazione storica della felicità umana permise a (—) di stabilire la necessità dell’impero e di riconoscerne ai Romani la legittimità. L’ambito temporale gli apparve dunque distinto dall’autorità spirituale del papa. Imperatore e papa, novelli Augusto e Cesare, esercitavano il loro ministero rispettivamente, per la felicità terrena e quella celeste, ma in maniera autonoma, in quanto entrambi promanavano da Dio. L’impero era dunque, per (—), perfetto, un’autorità di per sé sacra, che non aveva bisogno della guida spirituale della Chiesa.
La concezione dantesca dell’impero non può essere considerata utopistica, poiché l’impresa di Enrico VII fu vista come realisticamente possibile da molti uomini del suo tempo. Dopo il fallimento di tale impresa, non è da escludere un parziale ripensamento di (—) su tali temi. In effetti nella Divina Commedia, egli sembrò accettare la subordinazione delle forze politiche ad una suprema autorità spirituale, fermo restando il carattere sacro dell’impero.
Poeta, scrittore e uomo politico.
Ha qui rilievo per il contributo fornito ai concetti politici e giuridici medievali. In tal senso l’opera maggiormente attinente è il De Monarchia (1312-1313). Esso fu scritto in occasione della venuta in Italia dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, che nel 1311 scese nella penisola per farsi incoronare, nell’intento di restaurare l’autorità superiore dell’impero [vedi Sacro romano impero].
Nel De Monarchia (—) distinse nettamente la Chiesa e l’impero, senza stabilire alcun rapporto di gerarchia fra i due ordini. In considerazione della dualità della natura umana, l’uomo apparve a (—) destinato a due fini diversi: l’uno incorruttibile, l’altro corruttibile. Ed è all’impero che egli affidò il compito di guidare l’uomo al suo fine di essere corruttibile.
Nel De Monarchia (—) affrontò tre problemi: se l’impero fosse necessario al bene del mondo; se i Romani avessero avuto tale diritto; se l’impero derivasse direttamente da Dio. Egli considerò l’unità politica della civiltà universale come naturale. Ritenendo che l’attività di conoscenza fosse possibile solo all’umanità nel suo complesso, (—) rinvenne tale fine nell’unità politica del genere umano. Essa si sarebbe storicamente realizzata con il regno di Augusto (27 a.C.-14 d.C.), durante il quale, come nel paradiso terrestre, si era avverata la felicità umana: non è un caso, per (—), che Gesù sia venuto al mondo durante tale periodo. Augusto nel campo temporale, Cristo in quello spirituale, fecero la felicità dell’uomo.
La realizzazione storica della felicità umana permise a (—) di stabilire la necessità dell’impero e di riconoscerne ai Romani la legittimità. L’ambito temporale gli apparve dunque distinto dall’autorità spirituale del papa. Imperatore e papa, novelli Augusto e Cesare, esercitavano il loro ministero rispettivamente, per la felicità terrena e quella celeste, ma in maniera autonoma, in quanto entrambi promanavano da Dio. L’impero era dunque, per (—), perfetto, un’autorità di per sé sacra, che non aveva bisogno della guida spirituale della Chiesa.
La concezione dantesca dell’impero non può essere considerata utopistica, poiché l’impresa di Enrico VII fu vista come realisticamente possibile da molti uomini del suo tempo. Dopo il fallimento di tale impresa, non è da escludere un parziale ripensamento di (—) su tali temi. In effetti nella Divina Commedia, egli sembrò accettare la subordinazione delle forze politiche ad una suprema autorità spirituale, fermo restando il carattere sacro dell’impero.