Cuoco Vincenzo
Cuoco Vincenzo (Civitacampomarano, Campobasso 1770 - Napoli
1823)
Scrittore e uomo politico.
Il breve cammino della Repubblica partenopea [vedi] lo ebbe come attento osservatore, anche se egli preferì non impegnarsi in prima persona in nessuna attività di propaganda o di governo, pur offrendo un contributo alla causa rivoluzionaria in senso moderato-riformista.
Già con i primi studi assimilò gli elementi della cultura illuministica [vedi Illuminismo].
Svolse l’attività di avvocato pur concentrando i suoi interessi negli studi letterari e filosofici, rinvigoriti nella tradizione dalle istanze illuministe. Seguì gli insegnamenti di Genovesi [vedi Genovesi Antonio] e Pagano [vedi Pagano Francesco Mario], ma fu Vico [vedi Vico Giambattista] ad affascinare la sua mente, facendo nascere in lui una originale concezione delle vicende della storia e degli uomini.
La sua visione politica dei fatti, improntata a un equilibrato riformismo, gli impedì di aderire agli orientamenti troppo avanzati che i nuovi circoli intellettuali, sorti sull’esempio dei club rivoluzionari parigini, andavano manifestando nel clima di rinnovamento generale. Anche quando nacque la Repubblica partenopea, (—) si tenne in disparte, pur manifestando la sua simpatia per il nuovo credo politico. Quando i Borbone [vedi] tornarono a Napoli dopo la parentesi rivoluzionaria, evitò il capestro, ma non il carcere e l’esilio; si rifugiò a Milano, dove frequentò il salotto letterario di Giulia Beccaria, nel quale furono apprezzate le sue lezioni di storia, improntate alle teorie di Vico e alle sue ultime esperienze napoletane. Ritornò a Napoli sotto il governo di Giuseppe Bonaparte [vedi Bonaparte Giuseppe] e fu poi consigliere di Stato con Murat [vedi Murat Gioacchino]. Al ritorno dei Borbone fu colpito da improvvisa follia, che lo condusse dopo qualche anno alla morte.
Tra le sue opere sono ragguardevoli Platone in Italia, viaggio fantastico che esalta la civiltà ed il pensiero italico della Magna Grecia.
Nel Rapporto al Re Gioacchino Murat per l’organizzazione della pubblica istruzione, egli fa propria la convinzione di Vico, secondo cui il popolo deve essere preparato alle libertà politiche attraverso l’istruzione pubblica per formare un buon patriota, un buon soldato. Il Saggio storico sulla Rivoluzione di Napoli del 1799 valuta, con acute e originali considerazioni gli avvenimenti e rappresenta un nuovo modo di giudicare storia e azioni degli uomini.
(—) criticò la cieca fiducia, riposta dagli uomini del ‘99, nella universalità dei metodi rivoluzionari che determinò l’isolamento dei patrioti napoletani, i quali agirono sempre come gruppo autonomo e non riuscirono a motivare e a trascinare il popolo.
Quello che fu il dramma più autentico di tanti successivi moti rivoluzionari, la divisione tra liberali e democratici da una parte e popolo dall’altra, segnò anche il destino della Repubblica partenopea. In questo senso influirono negativamente la mancata applicazione della legge sulla feudalità e la scarsa apertura politica verso le provincie. Per (—) questi furono errori di enorme portata.
Indubbiamente, quello che fa di (—) il primo storico del processo risorgimentale napoletano è l’aver individuato con chiarezza che alle classi subalterne meridionali mancava il sentimento della coscienza nazionale, a differenza dei Francesi.
1823)
Scrittore e uomo politico.
Il breve cammino della Repubblica partenopea [vedi] lo ebbe come attento osservatore, anche se egli preferì non impegnarsi in prima persona in nessuna attività di propaganda o di governo, pur offrendo un contributo alla causa rivoluzionaria in senso moderato-riformista.
Già con i primi studi assimilò gli elementi della cultura illuministica [vedi Illuminismo].
Svolse l’attività di avvocato pur concentrando i suoi interessi negli studi letterari e filosofici, rinvigoriti nella tradizione dalle istanze illuministe. Seguì gli insegnamenti di Genovesi [vedi Genovesi Antonio] e Pagano [vedi Pagano Francesco Mario], ma fu Vico [vedi Vico Giambattista] ad affascinare la sua mente, facendo nascere in lui una originale concezione delle vicende della storia e degli uomini.
La sua visione politica dei fatti, improntata a un equilibrato riformismo, gli impedì di aderire agli orientamenti troppo avanzati che i nuovi circoli intellettuali, sorti sull’esempio dei club rivoluzionari parigini, andavano manifestando nel clima di rinnovamento generale. Anche quando nacque la Repubblica partenopea, (—) si tenne in disparte, pur manifestando la sua simpatia per il nuovo credo politico. Quando i Borbone [vedi] tornarono a Napoli dopo la parentesi rivoluzionaria, evitò il capestro, ma non il carcere e l’esilio; si rifugiò a Milano, dove frequentò il salotto letterario di Giulia Beccaria, nel quale furono apprezzate le sue lezioni di storia, improntate alle teorie di Vico e alle sue ultime esperienze napoletane. Ritornò a Napoli sotto il governo di Giuseppe Bonaparte [vedi Bonaparte Giuseppe] e fu poi consigliere di Stato con Murat [vedi Murat Gioacchino]. Al ritorno dei Borbone fu colpito da improvvisa follia, che lo condusse dopo qualche anno alla morte.
Tra le sue opere sono ragguardevoli Platone in Italia, viaggio fantastico che esalta la civiltà ed il pensiero italico della Magna Grecia.
Nel Rapporto al Re Gioacchino Murat per l’organizzazione della pubblica istruzione, egli fa propria la convinzione di Vico, secondo cui il popolo deve essere preparato alle libertà politiche attraverso l’istruzione pubblica per formare un buon patriota, un buon soldato. Il Saggio storico sulla Rivoluzione di Napoli del 1799 valuta, con acute e originali considerazioni gli avvenimenti e rappresenta un nuovo modo di giudicare storia e azioni degli uomini.
(—) criticò la cieca fiducia, riposta dagli uomini del ‘99, nella universalità dei metodi rivoluzionari che determinò l’isolamento dei patrioti napoletani, i quali agirono sempre come gruppo autonomo e non riuscirono a motivare e a trascinare il popolo.
Quello che fu il dramma più autentico di tanti successivi moti rivoluzionari, la divisione tra liberali e democratici da una parte e popolo dall’altra, segnò anche il destino della Repubblica partenopea. In questo senso influirono negativamente la mancata applicazione della legge sulla feudalità e la scarsa apertura politica verso le provincie. Per (—) questi furono errori di enorme portata.
Indubbiamente, quello che fa di (—) il primo storico del processo risorgimentale napoletano è l’aver individuato con chiarezza che alle classi subalterne meridionali mancava il sentimento della coscienza nazionale, a differenza dei Francesi.