Costituzioni piemontesi

Costituzioni piemontesi

Voluminosa raccolta di leggi in cinque libri, voluta e pubblicata dal re sabaudo Vittorio Amedeo II nel 1723 col titolo di Leggi e Costituzioni di S.M. il Re di Sardegna. Vennero pubblicate nuovamente nel 1729 per permettere una generale revisione formale del testo e l’aggiunta di un sesto libro. Ciascun libro è diviso in titoli e paragrafi: il primo libro riguarda la materia religiosa, con particolare riferimento al culto cattolico ed alla condizione degli ebrei; il secondo si riferisce al funzionamento dell’ordine giudiziario; il terzo concerne il processo civile; il quarto il diritto ed il processo penale; il quinto riguarda la materia civile ed il sesto il diritto feudale e la materia fiscale.
Caratteristica particolare delle (—) era l’espresso divieto, fatto a giudici ed avvocati di citare nei processi le autorità dottrinali. Tale divieto delle citazioni [vedi Citazioni (legge delle)] comportò una sensibile riduzione del raggio d’azione del diritto comune [vedi].
Le (—), pur introducendo innovazioni e riforme sostanziali, non possono essere considerate un vero e proprio codice [vedi Codificazione]. Infatti, sebbene si inserissero in maniera massiccia nell’ambito del particolaristico regime di diritto comune, esse non lo abrogavano, anzi, tolleravano espressamente di essere suppletivamente integrate dalle norme di diritto comune, statutarie e giurisprudenziali.
Le (—) ricevettero un’ultima ed ampia revisione nel 1770 su disposizione di Carlo Emanuele III [vedi] e costituirono il nucleo principale del diritto piemontese fino allo Statuto albertino [vedi].