Corporativismo
Corporativismo
Termine che indica sia un modello di organizzazione sociale dello Stato imperniato sulla corporazione [vedi Corporazioni], sia l’insieme delle dottrine che pongono al centro della loro speculazione tale modello. Nel XIX secolo il (—) conobbe una stagione di straordinario fermento e gli ordinamenti politico-sociali fondati sulla rappresentanza degli interessi di categoria vennero considerati gli unici strumenti in grado di attuare un superamento dell’assetto liberale e parlamentare dello Stato moderno. Nel secolo XX il (—) venne inteso come modello organizzativo funzionale ad una politica totalitaria dello Stato, attraverso la catalizzazione nell’ordinamento di quest’ultimo degli interessi economici e sociali degli individui.
• (—) fascista
La più compiuta realizzazione giuridico-economica del modello corporativistico fu introdotta in Italia in epoca fascista [vedi Fascismo] con l’emanazione della Carta del lavoro (L. 3 aprile 1926, n. 563) [vedi], la quale attribuiva ad un solo sindacato (quello fascista) il riconoscimento della personalità giuridica e la facoltà di stipulare contratti collettivi efficaci per l’intera categoria. Ai lavoratori venne fatto divieto di sciopero ed ai datori di lavoro fu proibita la serrata. Per la risoluzione delle controverie collettive venne istituita una magistratura del lavoro e le corporazioni, cui fu attribui-to il compito di emanare norme generali di diritto del lavoro e di conciliare le controversie in materia di collocamento, vennero poste sotto la direzione burocratica di un Ministero delle Corporazioni. Il (—) fascista divenne realmente operante solo con la L. 5 febbraio 1934, n. 163, in virtù della quale a ciascuna delle 22 corporazioni vennero attribuite, oltre che funzioni consultive e conciliative, anche funzioni normative, consistenti nell’emanazione di ordinanze corporative, volte a coordinare la produzione ed a regolare con efficacia obbligatoria i rapporti economici.
L’ordinamento corporativo fascista fu soppresso nel 1944.
Termine che indica sia un modello di organizzazione sociale dello Stato imperniato sulla corporazione [vedi Corporazioni], sia l’insieme delle dottrine che pongono al centro della loro speculazione tale modello. Nel XIX secolo il (—) conobbe una stagione di straordinario fermento e gli ordinamenti politico-sociali fondati sulla rappresentanza degli interessi di categoria vennero considerati gli unici strumenti in grado di attuare un superamento dell’assetto liberale e parlamentare dello Stato moderno. Nel secolo XX il (—) venne inteso come modello organizzativo funzionale ad una politica totalitaria dello Stato, attraverso la catalizzazione nell’ordinamento di quest’ultimo degli interessi economici e sociali degli individui.
• (—) fascista
La più compiuta realizzazione giuridico-economica del modello corporativistico fu introdotta in Italia in epoca fascista [vedi Fascismo] con l’emanazione della Carta del lavoro (L. 3 aprile 1926, n. 563) [vedi], la quale attribuiva ad un solo sindacato (quello fascista) il riconoscimento della personalità giuridica e la facoltà di stipulare contratti collettivi efficaci per l’intera categoria. Ai lavoratori venne fatto divieto di sciopero ed ai datori di lavoro fu proibita la serrata. Per la risoluzione delle controverie collettive venne istituita una magistratura del lavoro e le corporazioni, cui fu attribui-to il compito di emanare norme generali di diritto del lavoro e di conciliare le controversie in materia di collocamento, vennero poste sotto la direzione burocratica di un Ministero delle Corporazioni. Il (—) fascista divenne realmente operante solo con la L. 5 febbraio 1934, n. 163, in virtù della quale a ciascuna delle 22 corporazioni vennero attribuite, oltre che funzioni consultive e conciliative, anche funzioni normative, consistenti nell’emanazione di ordinanze corporative, volte a coordinare la produzione ed a regolare con efficacia obbligatoria i rapporti economici.
L’ordinamento corporativo fascista fu soppresso nel 1944.