Consuetudine
Consuetudine
Uniforme ripetizione che si protrae nel tempo di un dato comportamento (usus) da parte della generalità dei consociati, con la convinzione della sua giuridica necessità (cd. opinio iuris ac necessitatis).
Anticamente tutto il diritto era consuetudinario, risiedendo il fondamento degli istituti giuridici nella sacralità dei costumi degli antenati (mores maiòrum).
In diritto romano classico, la (—) si contrapponeva alle fonti legislative: la prima rientrava nell’ambito del diritto non scritto (ius ex non scripto), le seconde nel diritto scritto (ius scriptum). Inoltre, si ammetteva l’abrogazione tacita della legge non solo per desuetudine, ossia per reiterata inosservanza di essa, ma anche attraverso una (—) che introducesse una norma contraria.
Fu in età imperiale, con Costantino [vedi] che, allo scopo di porre riparo alla confusione dilagante, venne ristabilita l’autorità della legge e fu sancito il principio che quest’ultima non potesse essere abrogata dalla (—).
Il principio venne ripreso nella compilazione giustinianea [vedi Corpus iuris civilis], in cui si stabilì che la (—) dovesse avere efficacia solo nelle materie non regolate dalla legge.
Il diritto romano poneva il fondamento della (—) nel tacito consenso del popolo, non ravvisando differenza tra il suo manifestarsi esplicitamente nella legge o implicitamente nella (—).
Il tempo era il fattore essenziale della (—), ma non era stabilito il minimo necessario per la sua formazione, essendo lasciato all’apprezzamento del magistrato verificare se, caso per caso, fosse passato un periodo di tempo congruo ad evincere l’obbligatorietà del comportamento.
Nei primi secoli del medioevo la (—) assunse una posizione prioritaria nell’ambito delle fonti giuridiche, sia per la funzione svolta di adeguamento del diritto romano alle esigenze della prassi, sia per la forza dimostrata nel creare diritto nuovo.
Nel diritto canonico, tuttavia, la validità di una (—) richiedeva la preventiva approvazione del competente organo ecclesiastico.
Importante creazione del diritto consuetudinario medievale fu l’istituto del feudo [vedi] e la formazione del diritto civico (consuetudinis loci), ossia delle consuetudini appartenenti ad una stessa civitas e sorte dalla comunanza degli interessi dei cittadini, riuniti in corporazioni ed associazioni. Fu dalla redazione scritta di tali consuetudini cittadine che si originò il nucleo principale del ius proprium [vedi].
Il passaggio dall’ordinamento comunale a quello delle monarchie assolute determinò il declino della (—) ed il prevalere della legge come fonte della volontà del principe.
L’avvento dei codici [vedi Codificazione] produsse il definitivo declino della (—).
Il nostro attuale codice civile, all’art. 8 delle disposizioni preliminari, dispone che nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo se da essi richiamati.
Uniforme ripetizione che si protrae nel tempo di un dato comportamento (usus) da parte della generalità dei consociati, con la convinzione della sua giuridica necessità (cd. opinio iuris ac necessitatis).
Anticamente tutto il diritto era consuetudinario, risiedendo il fondamento degli istituti giuridici nella sacralità dei costumi degli antenati (mores maiòrum).
In diritto romano classico, la (—) si contrapponeva alle fonti legislative: la prima rientrava nell’ambito del diritto non scritto (ius ex non scripto), le seconde nel diritto scritto (ius scriptum). Inoltre, si ammetteva l’abrogazione tacita della legge non solo per desuetudine, ossia per reiterata inosservanza di essa, ma anche attraverso una (—) che introducesse una norma contraria.
Fu in età imperiale, con Costantino [vedi] che, allo scopo di porre riparo alla confusione dilagante, venne ristabilita l’autorità della legge e fu sancito il principio che quest’ultima non potesse essere abrogata dalla (—).
Il principio venne ripreso nella compilazione giustinianea [vedi Corpus iuris civilis], in cui si stabilì che la (—) dovesse avere efficacia solo nelle materie non regolate dalla legge.
Il diritto romano poneva il fondamento della (—) nel tacito consenso del popolo, non ravvisando differenza tra il suo manifestarsi esplicitamente nella legge o implicitamente nella (—).
Il tempo era il fattore essenziale della (—), ma non era stabilito il minimo necessario per la sua formazione, essendo lasciato all’apprezzamento del magistrato verificare se, caso per caso, fosse passato un periodo di tempo congruo ad evincere l’obbligatorietà del comportamento.
Nei primi secoli del medioevo la (—) assunse una posizione prioritaria nell’ambito delle fonti giuridiche, sia per la funzione svolta di adeguamento del diritto romano alle esigenze della prassi, sia per la forza dimostrata nel creare diritto nuovo.
Nel diritto canonico, tuttavia, la validità di una (—) richiedeva la preventiva approvazione del competente organo ecclesiastico.
Importante creazione del diritto consuetudinario medievale fu l’istituto del feudo [vedi] e la formazione del diritto civico (consuetudinis loci), ossia delle consuetudini appartenenti ad una stessa civitas e sorte dalla comunanza degli interessi dei cittadini, riuniti in corporazioni ed associazioni. Fu dalla redazione scritta di tali consuetudini cittadine che si originò il nucleo principale del ius proprium [vedi].
Il passaggio dall’ordinamento comunale a quello delle monarchie assolute determinò il declino della (—) ed il prevalere della legge come fonte della volontà del principe.
L’avvento dei codici [vedi Codificazione] produsse il definitivo declino della (—).
Il nostro attuale codice civile, all’art. 8 delle disposizioni preliminari, dispone che nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo se da essi richiamati.