Concordato ecclesiastico

Concordato ecclesiastico

Convenzione internazionale, stipulata tra la S. Sede, in veste di soggetto di diritto internazionale, e singoli Stati per provvedere alla regolamentazione generale della situazione giuridica della Chiesa in un determinato Paese.
Il (—) obbliga solo le parti internazionali contraenti.
Per i fedeli esso diviene obbligatorio a seguito della pubblicazione dello stesso negli Acta Apostolica Sedis; per i cittadini dello Stato stipulante diventa obbligatorio solo quando il (—) viene trasferito nelle leggi dello Stato.
Tra i concordati di maggiore rilevanza storica: quello di Worms (1122), stipulato tra papa Callisto II (1119-1124) ed Enrico V (1106-1125), che pose fine alla lotta per le investiture [vedi Investiture (lotta per le)] tra i papi e gli imperatori. In virtù di esso si stabilì che i pontefici e i vescovi dovevano essere eletti secondo le norme ecclesiastiche e che solo in Germania a tali elezioni avrebbe potuto assistere un rappresentante dell’impero. L’imperatore avrebbe potuto investire di un feudo un vescovo o un ecclesiastico, ma solo dopo la regolare elezione e consacrazione del pontefice. La Chiesa, dal suo canto, riconosceva i diritti assunti dall’imperatore sugli ecclesiastici, ai quali fosse stata conferita un’investitura feudale. Con il (—) di Costanza (1418) e quello di Francoforte (1446) la Chiesa tentò di arginare le tendenze centrifughe di alcuni episcopati nazionali.
Il (—) del 1801 tra il Primo Console Napoleone [vedi Bonaparte Napoleone] e Pio VII (1829-1830) compose il profondo dissidio generato tra il governo francese e la S. Sede [vedi Costituzione civile del clero].
L’Italia ha stipulato con la S. Sede il concordato dell’11-2-1929 (cd. Patti Lateranensi [vedi Lateranensi (Patti)]), modificato e sostanzialmente innovato con l’accordo del 18-2-1984. In virtù di quest’ultimo si sancisce la posizione di reciproca indipendenza e sovranità dei contraenti; l’assunzione di una posizione agnostica dello Stato nei confronti della religione cattolica, che cessa di essere considerata religione ufficiale dello Stato; il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio cattolico; l’introduzione, in luogo del finanziamento diretto dello Stato alla Chiesa, di un sistema che prevede il sostentamento di questa attraverso contributi volontari, versati dai fedeli all’atto della dichiarazione dei redditi.