Codici penali sardi

Codici penali sardi

Codici penali del Regno di Sardegna.
Il primo codice penale del Regno fu promulgato da Carlo Alberto [vedi] il 26 ottobre 1839. Fin dal 1831 il sovrano aveva annunciato un piano di riforme amministrative e legislative. A tal fine era stata costituita una commissione legislativa formata da giuristi e magistrati, sotto la presidenza del ministro della giustizia Barbaroux. Tale organo era diviso in quattro sezioni: legislazione civile [vedi Codice albertino], procedimento civile, leggi commerciali, materie penali.
Il codice penale fu elaborato, dalla quarta sezione della Commissione, sulla base di uno studio comparato con le legislazioni straniere, in particolare del Code pénal del 1810 [vedi] e dell’ordinamento penale di altri Stati della penisola. Entrò in vigore il 15 gennaio 1840, con esclusione della Sardegna. Era diviso in tre libri: pene e regole generali per la loro applicazione ed esecuzione; crimini e delitti e loro pene; contravvenzioni e loro pene. Comprendeva in tutto 739 articoli.
Le pene criminali includevano la morte, i lavori forzati (a vita o a tempo), la reclusione, la relegazione, l’interdizione dai pubblici uffici; le pene correzionali erano il carcere, l’ergastolo, il confino, l’esilio locale, la sospensione dai pubblici uffici, la multa.
Il codice penale sabaudo, pur ispirandosi a quello francese, se ne distinse in diversi punti. Ad esempio, maggiormente favorevole risultò la gradazione dell’imputabilità per età e per sordomutismo, le pene per il reato tentato erano molto mitigate rispetto a quelle per il reato consumato. Al giudice era concessa una certa discrezionalità, al fine di stabilire un’equa proporzione fra reati e pene.
Al codice si accompagnarono il regolamento giudiziario (gennaio 1840), il codice di leggi penali militari (giugno 1840), il codice di procedura criminale (ottobre 1847). Il codice penale fu esteso alla Sardegna a partire dal 1° novembre 1848.
Nel 1859, dopo l’annessione della Lombardia e in previsione di future incorporazioni territoriali, fu approntata una revisione generale dei codici del Regno. Il 20 novembre 1859 Vittorio Emanuele II promulgò il codice penale comune, il codice di procedura penale, il codice di procedura civile, tutti entrati in vigore il 1° maggio 1860.
Il nuovo codice penale presentava dei miglioramenti rispetto a quello del 1839: l’applicazione della pena di morte era ristretta a un numero minore di reati e le pene apparivano generalmente più miti.
Con il processo di unificazione il codice penale fu esteso progressivamente all’Emilia, all’Umbria, alle Marche, ai territori del Regno delle Due Sicilie (in quest’ultimo caso con qualche modificazione). Al contrario esso non venne esteso alla Toscana, dove la pena di morte era stata abolita nell’aprile del 1859 dal governo provvisorio. Nella duplice impossibilità di reintrodurre tale pena nella regione e di eliminarla dal codice penale ormai unitario, il governo preferì far rimanere in vigore, per la sola Toscana, il codice penale toscano del 1853, da cui era stata eliminata la pena capitale. Nel resto del Paese entrò in applicazione il codice penale sardo, conosciuto da allora come codice sardo-italiano.
Esso costituì la legislazione penale unitaria fino al Codice penale del 1889 [vedi].