Codice di commercio del 1882
Codice di commercio del 1882
Fu promulgato con R.D. 31 ottobre 1882 e disciplinava la materia commerciale. Esso era il codice della dinamica borghesia commerciale ed industriale e ciò spiega il motivo per cui in esso il contratto veniva considerato non tanto e non solo un modo di acquisto della proprietà, quanto piuttosto uno strumento di speculazione attraverso cui si mira ad ottenere un profitto.
Il (—) disciplinava non solo un gran numero di atti, definiti di commercio dall’art. 3, ma anche tutti quei rapporti, non intrinsecamente commerciali, in cui almeno una parte rivestisse la qualifica di commerciante. Ciò comportava che tutti i cittadini che contrattavano con i commercianti fossero costretti a subire una legge che era nata nell’interesse di una sola classe.
Il (—) era costituito da 926 articoli, distribuiti in quattro libri, intitolati rispettivamente: Del commercio in generale; Del commercio marittimo e della navigazione; Del fallimento; Dell’esercizio delle azioni commerciali e della loro durata.
La natura di classe del diritto commerciale apparve incompatibile con il nuovo ordinamento corporativo fascista [vedi Corporativismo] che, ispirandosi ai principi della Carta del lavoro [vedi] del 1927, dichiarava esplicitamente superato il conflitto di classe. Da qui una forte spinta verso l’unificazione del diritto privato che, aldilà della retorica ufficiale di regime, mascherava l’ormai netta prevalenza degli interessi dell’impresa su quelli della proprietà. Ciò spiega perché l’estinzione del (—) si compì nel segno di una marcata commercializzazione del diritto privato. Le mutate esigenze del capitalismo richiedevano che ogni rapporto, anche fra soggetti che non svolgevano attività d’impresa, fosse regolamentato in modo uniforme e confacente agli interessi della classe imprenditoriale.
Fu promulgato con R.D. 31 ottobre 1882 e disciplinava la materia commerciale. Esso era il codice della dinamica borghesia commerciale ed industriale e ciò spiega il motivo per cui in esso il contratto veniva considerato non tanto e non solo un modo di acquisto della proprietà, quanto piuttosto uno strumento di speculazione attraverso cui si mira ad ottenere un profitto.
Il (—) disciplinava non solo un gran numero di atti, definiti di commercio dall’art. 3, ma anche tutti quei rapporti, non intrinsecamente commerciali, in cui almeno una parte rivestisse la qualifica di commerciante. Ciò comportava che tutti i cittadini che contrattavano con i commercianti fossero costretti a subire una legge che era nata nell’interesse di una sola classe.
Il (—) era costituito da 926 articoli, distribuiti in quattro libri, intitolati rispettivamente: Del commercio in generale; Del commercio marittimo e della navigazione; Del fallimento; Dell’esercizio delle azioni commerciali e della loro durata.
La natura di classe del diritto commerciale apparve incompatibile con il nuovo ordinamento corporativo fascista [vedi Corporativismo] che, ispirandosi ai principi della Carta del lavoro [vedi] del 1927, dichiarava esplicitamente superato il conflitto di classe. Da qui una forte spinta verso l’unificazione del diritto privato che, aldilà della retorica ufficiale di regime, mascherava l’ormai netta prevalenza degli interessi dell’impresa su quelli della proprietà. Ciò spiega perché l’estinzione del (—) si compì nel segno di una marcata commercializzazione del diritto privato. Le mutate esigenze del capitalismo richiedevano che ogni rapporto, anche fra soggetti che non svolgevano attività d’impresa, fosse regolamentato in modo uniforme e confacente agli interessi della classe imprenditoriale.