Codice civile del 1942

Codice civile del 1942

Codice civile italiano tuttora vigente.
Venne promulgato con regio decreto del 16 marzo 1942 n. 262 ed entrò in vigore il 21 aprile dello stesso anno. Sostituì il codice civile del 1865 [vedi] e il codice di commercio del 1882 [vedi].
L’esigenza di riformare il codice civile del 1865 si pose, in maniera particolarmente penetrante, dopo la prima guerra mondiale, allorquando si era presentato il problema di una regolamentazione dei rapporti privati che tenesse conto dei nuovi assetti tra le classi sociali. Nel 1923 fu approvata una legge di delega al Governo, al fine di procedere alla realizzazione di nuovi codici: civile, di procedura civile, di commercio e per la marina mercantile. La Commissione reale all’uopo istituita lavorò, fino al 1937, a un progetto per i primi tre libri del codice (persone e famiglia; cose e diritti reali; successioni e donazioni), oltre che ad un nuovo codice di commercio. Alla fine degli anni ’20 fu pubblicato il progetto di una commissione italo-francese, che aveva lavorato allo scopo di realizzare una legislazione uniforme delle obbligazioni e dei contratti, in Italia e in Francia.
Il libro sulle persone e sulla famiglia entrò in vigore il 1° luglio 1939, quello sulle successioni il 21 aprile del 1940. Allorquando avrebbero dovuto essere pubblicati gli altri due libri, vi fu un cambiamento nel programma dei lavori.
Il problema principale era rappresentato dal grado di penetrazione della “dottrina fascista” [vedi Fascismo] all’interno del testo legislativo. I giuristi che collaborarono a questa fase dei lavori riuscirono tuttavia ad evitare l’introduzione di “principi generali dell’ordinamento fascista”, ma fu comunque riconosciuto il valore giuridico della Carta del lavoro [vedi]. I membri delle commissioni che si occuparono della redazione del (—) appartenevano, per la maggior parte, alla tradizione giuridica liberale, poco portati ad individuare nel loro progetto un ipotetico diritto fascista. Il lungo tempo che accompagnò la redazione delle diverse parti del (—) servì a migliorarne i contenuti normativi, conferendo loro un notevole valore tecnico e scientifico.
La necessità di contemperare la disciplina del diritto di proprietà, contenuta nel libro della proprietà, con la disciplina dell’impresa contenuta nel codice di commercio, spinse ad abbandonare l’originaria idea di due codici (civile e commerciale), facendo propendere per la redazione di un codice unico che accogliesse entrambe le materie, diviso in sei libri (quali poi risulteranno nella redazione finale). Si definì così il programma di lavoro degli altri libri: il libro delle obbligazioni, nel quale furono fuse la disciplina civile e quella commerciale della materia; il libro sul lavoro, nel quale furono disciplinate le attività economiche, con relativi soggetti e strumenti. Nell’ultimo libro, sulla tutela dei diritti, furono previsti una serie di istituti volti a garantire l’attuazione dei diritti. Il programma dei lavori subì pertanto una netta accelerazione al fine di permettere la pubblicazione e l’entrata in vigore del testo nei tempi stabiliti.
Al (—) erano anteposte le Disposizioni sulla legge in generale (31 articoli, di cui gli ultimi 14 abrogati nel 1995, con la riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato). Il codice propriamente detto è composto da sei libri:
— primo libro: Delle persone e della famiglia (articoli 1 - 455);
— secondo libro: Delle successioni (articoli 456 - 809);
— terzo libro: Della proprietà (articoli 810 - 1172);
— quarto libro: Delle obbligazioni (articoli 1173 - 2059);
— quinto libro: Del lavoro (articoli 2060 - 2642);
— sesto libro: Della tutela dei diritti (articoli 2643 - 2969).
Benché redatto in epoca fascista, il (—) non risultò, pertanto, intriso profondamente dell’ideologia del regime. Infatti alla caduta del fascismo, esso non fu sostituito, come da più parti si reclamava. Le ragioni di questa capacità di riutilizzo sono da ricercarsi nelle matrici ideologiche del (—), che possono definirsi sostanzialmente “borghesi”. In tal modo esso dimostrò la capacità di essere utilizzato anche all’interno di un regime democratico.
Naturalmente da esso furono espulse le disposizioni che risultavano inconciliabili con il nuovo ordinamento repubblicano. Già nel 1943 furono eliminate le norme che discriminavano i cittadini “di razza non ariana” e altre simili.
Benché periodicamente si levino voci in favore dell’adozione di un nuovo testo, il (—) rimane tuttora in vigore, anche se col passare degli anni, esso ha subito numerosi cambiamenti, talvolta radicali. Un esempio è costituito dalla riforma del diritto di famiglia del 1975.
Il (—) non disciplina l’intera materia del diritto privato. Diverse leggi speciali lo integrano. Già alla sua entrata in vigore era accompagnato da leggi speciali sulla cambiale (1933), sull’assegno (1933), sulle procedure concorsuali (1942). Numerose altre sono state adottate in seguito: le norme sui licenziamenti individuali (1966), lo statuto dei lavoratori (1970), la locazione degli immobili urbani (1998), la riforma dei mercati finanziari (1998), la normativa del pubblico impiego (1998), per citare solo qualche esempio.
Alcune leggi speciali disciplinano in maniera autonoma diversi settori; in base al principio di competenza delle fonti, esse prevalgono sul codice, dando vita a un processo di decodificazione, attraverso il quale si paventa la possibile introduzione nell’ordinamento, di privilegi di parte, che potrebbero indebolire il carattere garantistico del codice che, in quanto corpus organico di norme, meglio risponderebbe al principio di uguaglianza giuridica.