Codice albertino
Codice albertino
Codice civile piemontese, promulgato da Carlo Alberto [vedi] il 20 giugno 1837.
Nel 1831 il sovrano aveva annunciato un programma di riforme amministrative; nello stesso anno nominò una commissione legislativa, composta da magistrati e da giuristi e presieduta dal ministro della giustizia Barbaroux. Tale organo fu diviso in quattro sezioni: legislazione civile, procedimento civile, leggi commerciali, materie penali [vedi Codici penali sardi]. La sezione per le leggi civili preparò un progetto sulla base del Code Napoléon [vedi] e di altri codici italiani. Tale progetto fu sottoposto all’esame dei tribunali supremi, della camera dei conti e del consiglio di Stato. Le lunghe discussioni in tali consessi ritardarono i tempi dell’approvazione. Dopo sei anni di serrati confronti, la volontà di Carlo Alberto e del ministro Barbaroux portò all’approvazione del codice civile, in vigore dal 1° gennaio 1838 (per i soli Stati di terraferma, quindi con esclusione della Sardegna).
Il (—) seguiva la tripartizione del Code Napoléon (persone; diritti reali; successioni e contratti). Conteneva un titolo preliminare in cui, insieme alle regole di pubblicazione e di applicazione delle leggi, vi era una professione di fede cattolica. L’ultimo articolo (2415) abrogava tutto il diritto anteriore (sia scritto, sia consuetudinario) nelle materie oggetto del (—), salvo nei casi richiamati dal codice stesso. Pur ispirandosi al codice francese, se ne differenziava in diversi tratti. Ad esempio, i diritti delle donne nella successione erano inferiori rispetto a quelli degli uomini. La disciplina della condotta delle acque nei confronti di agricoltura e industria fu considerata, al contrario, all’avanguardia ed imitata da altri Paesi.
Al (—) seguirono diverse leggi complementari: sull’erezione dei maggioraschi (ottobre 1837); sull’espropriazione delle opere di pubblica utilità (aprile 1839); sulle miniere e cave (giugno 1840).
Nell’agosto del 1848 il (—), insieme ad altri codici e legislazioni, ebbe vigore anche per la Sardegna. Nel 1859 fu operante in Lombardia; con il processo d’unificazione il (—) fu progressivamente esteso all’Emilia, alle Marche, all’Umbria. Non avvenne lo stesso per la Toscana e per il Regno di Napoli, dove rimasero in vigore le legislazioni civili precedenti, purché non in contrasto con lo Statuto albertino [vedi], in attesa di una legislazione uniforme per tutta l’Italia. Ciò avvenne con l’approvazione del codice civile del 1865 [vedi], in vigore dal 1° gennaio 1866.
Codice civile piemontese, promulgato da Carlo Alberto [vedi] il 20 giugno 1837.
Nel 1831 il sovrano aveva annunciato un programma di riforme amministrative; nello stesso anno nominò una commissione legislativa, composta da magistrati e da giuristi e presieduta dal ministro della giustizia Barbaroux. Tale organo fu diviso in quattro sezioni: legislazione civile, procedimento civile, leggi commerciali, materie penali [vedi Codici penali sardi]. La sezione per le leggi civili preparò un progetto sulla base del Code Napoléon [vedi] e di altri codici italiani. Tale progetto fu sottoposto all’esame dei tribunali supremi, della camera dei conti e del consiglio di Stato. Le lunghe discussioni in tali consessi ritardarono i tempi dell’approvazione. Dopo sei anni di serrati confronti, la volontà di Carlo Alberto e del ministro Barbaroux portò all’approvazione del codice civile, in vigore dal 1° gennaio 1838 (per i soli Stati di terraferma, quindi con esclusione della Sardegna).
Il (—) seguiva la tripartizione del Code Napoléon (persone; diritti reali; successioni e contratti). Conteneva un titolo preliminare in cui, insieme alle regole di pubblicazione e di applicazione delle leggi, vi era una professione di fede cattolica. L’ultimo articolo (2415) abrogava tutto il diritto anteriore (sia scritto, sia consuetudinario) nelle materie oggetto del (—), salvo nei casi richiamati dal codice stesso. Pur ispirandosi al codice francese, se ne differenziava in diversi tratti. Ad esempio, i diritti delle donne nella successione erano inferiori rispetto a quelli degli uomini. La disciplina della condotta delle acque nei confronti di agricoltura e industria fu considerata, al contrario, all’avanguardia ed imitata da altri Paesi.
Al (—) seguirono diverse leggi complementari: sull’erezione dei maggioraschi (ottobre 1837); sull’espropriazione delle opere di pubblica utilità (aprile 1839); sulle miniere e cave (giugno 1840).
Nell’agosto del 1848 il (—), insieme ad altri codici e legislazioni, ebbe vigore anche per la Sardegna. Nel 1859 fu operante in Lombardia; con il processo d’unificazione il (—) fu progressivamente esteso all’Emilia, alle Marche, all’Umbria. Non avvenne lo stesso per la Toscana e per il Regno di Napoli, dove rimasero in vigore le legislazioni civili precedenti, purché non in contrasto con lo Statuto albertino [vedi], in attesa di una legislazione uniforme per tutta l’Italia. Ciò avvenne con l’approvazione del codice civile del 1865 [vedi], in vigore dal 1° gennaio 1866.