Carta del lavoro

Carta del lavoro

Documento non legislativo approvato il 21 aprile 1927 dal Gran Consiglio del Fascismo [vedi], dopo studi, discussioni e deliberazioni cui partecipò attivamente Mussolini. Essa segna la nascita ufficiale dello Stato corporativo fascista [vedi Corporativismo] che, successivamente emanò la legge 13 dicembre 1928, contenente disposizioni per la sua attuazione.
La (—) consta di trenta dichiarazioni, disciplinanti i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori. Tali dichiarazioni sono divise in quattro capi: Dello Stato corporativo e della sua organizzazione; Del contrattto collettivo di lavoro e delle garanzie del lavoro; Degli Uffici di collocamento; Della previdenza, dell’assistenza dell’educazione e dell’istruzione.
Le principali dichiarazioni della (—) sono le seguenti: la Nazione è una unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello Stato fascista. Il lavoro, sotto qualsiasi forma è un dovere sociale; solo a questo titolo è tutelato dallo Stato: suo fine non è soltanto il benessere dei produttori, ma anche lo sviluppo della potenza della Nazione. L’organizzazione professionale o sindacale è libera, ma solo il sindacato riconosciuto e controllato dallo Stato rappresenta legalmente tutta la categoria di datori o di lavoratori per cui è costituito. L’intervento dello Stato nella produzione ha luogo soltanto quando manchi o sia insufficiente l’iniziativa privata, e può assumere la forma del controllo, dell’incoraggiamento e della gestione diretta. Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidarietà fra i vari fattori della produzione, mediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione. Il prestatore d’opera (tecnico, impiegato od operaio), è un collaboratore attivo dell’impresa economica, la direzione della quale spetta al datore di lavoro.