Agostino Aurelio (Santo)
Agostino Aurelio (Santo)
Teologo, filosofo e padre della Chiesa. Nacque a Tagaste, in Numidia (odierna Algeria) nel 354 e morì nel 430 ad Ippona (Bona, odierna Annaba, in Algeria) città della quale fu vescovo. Insegnò retorica a Tagaste, Cartagine, Roma e Milano. Qui si convertì al Cristianesimo.
Nell’ambito del suo pensiero la tematica filosofico-giuridica occupa un notevole spazio. Rimasto sconvolto dal saccheggio di Roma del 410 ad opera dei Visigoti [vedi] di Alarico I [vedi], egli si rese conto della debolezza di Roma pagana, ma si rifiutò di attribuire alla nuova religione cristiana la causa dell’indebolimento dello Stato. Allo scopo di confutare tale accusa scrisse La Città di Dio (De civitate Dei), in cui descrisse la nascita di due città costantemente in lotta tra loro: una del bene, del vero, dello spirito e della gloria divina; l’altra del male, della fallacia, della materia e della vanagloria umana.
Secondo (—) un’associazione di cittadini fondata sul diritto può esistere solo se vi regna la giustizia, che è la conformità della coscienza dell’uomo al disegno di Dio e si realizza nell’adempimento scrupoloso del proprio dovere e nell’attribuzione a ciascuno di ciò che gli spetta (suum cuique tribuere) senza inganni o favoritismi.
L’uomo ha per natura bisogno della società ed ogni società necessita di un’autorità (ubi societas ibi ius; ubi ius ibi societas), che è indispensabile e trascendente.
Scopo di ogni potere, la cui legittimazione è data da Dio, è la realizzazione della giustizia e quando un regnante allontana da essa la propria politica, il potere si travia e si perde.
Una vera civitas non può fare a meno di condizionare alla realizzazione della giustizia il perseguimento degli interessi comuni.
Tuttavia, alla fine della sua analisi (—) giunge alla conclusione secondo cui nessuna città terrena è capace di conservare l’equilibrio, poiché gli individui lottano costantemente tra i due principi contrapposti dell’amore per Dio e dell’amore per se stessi. La giustizia risulta così estromessa dall’organizzazione terrena e si rinviene solo nella città retta da Cristo. I regni terreni, caratterizzati dalla difformità dei rapporti umani rispetto alla legge divina non sono altro che immani imprese di sopraffazione, in cui non si ha una vera costituzione politica e l’ordinamento giuridico risulta segnato dalla corruzione.
Teologo, filosofo e padre della Chiesa. Nacque a Tagaste, in Numidia (odierna Algeria) nel 354 e morì nel 430 ad Ippona (Bona, odierna Annaba, in Algeria) città della quale fu vescovo. Insegnò retorica a Tagaste, Cartagine, Roma e Milano. Qui si convertì al Cristianesimo.
Nell’ambito del suo pensiero la tematica filosofico-giuridica occupa un notevole spazio. Rimasto sconvolto dal saccheggio di Roma del 410 ad opera dei Visigoti [vedi] di Alarico I [vedi], egli si rese conto della debolezza di Roma pagana, ma si rifiutò di attribuire alla nuova religione cristiana la causa dell’indebolimento dello Stato. Allo scopo di confutare tale accusa scrisse La Città di Dio (De civitate Dei), in cui descrisse la nascita di due città costantemente in lotta tra loro: una del bene, del vero, dello spirito e della gloria divina; l’altra del male, della fallacia, della materia e della vanagloria umana.
Secondo (—) un’associazione di cittadini fondata sul diritto può esistere solo se vi regna la giustizia, che è la conformità della coscienza dell’uomo al disegno di Dio e si realizza nell’adempimento scrupoloso del proprio dovere e nell’attribuzione a ciascuno di ciò che gli spetta (suum cuique tribuere) senza inganni o favoritismi.
L’uomo ha per natura bisogno della società ed ogni società necessita di un’autorità (ubi societas ibi ius; ubi ius ibi societas), che è indispensabile e trascendente.
Scopo di ogni potere, la cui legittimazione è data da Dio, è la realizzazione della giustizia e quando un regnante allontana da essa la propria politica, il potere si travia e si perde.
Una vera civitas non può fare a meno di condizionare alla realizzazione della giustizia il perseguimento degli interessi comuni.
Tuttavia, alla fine della sua analisi (—) giunge alla conclusione secondo cui nessuna città terrena è capace di conservare l’equilibrio, poiché gli individui lottano costantemente tra i due principi contrapposti dell’amore per Dio e dell’amore per se stessi. La giustizia risulta così estromessa dall’organizzazione terrena e si rinviene solo nella città retta da Cristo. I regni terreni, caratterizzati dalla difformità dei rapporti umani rispetto alla legge divina non sono altro che immani imprese di sopraffazione, in cui non si ha una vera costituzione politica e l’ordinamento giuridico risulta segnato dalla corruzione.