Technostress/Tecnofobia

Technostress/Tecnofobia
Se lo stress lavorativo è definibile come uno sbilanciamento tra la percezione delle richieste che provengono dall'ambito lavorativo al lavoratore e la percezione delle proprie capacità nel far fronte a simili richieste, il technostress può essere definito come quel disagio e quello stress derivanti dall'incapacità di usare in modo sano le nuove tecnologie, nei contesti di apprendimento, di lavoro e del tempo libero. Il primo studioso ad occuparsi di stress collegabile alle nuove tecnologie è stato Lee nel suo articolo Social attitudes and the computer revolution (1970). Non deve stupire che, da questo primo lavoro seminale, si siano moltiplicate le ricerche relative a tale forma specifica di stress occupazionale; l'aumento nel numero delle ricerche dedicate al technostress ha corrisposto, infatti, all'aumentata presenza e all'uso sempre più massivo delle nuove tecnologie nei contesti lavorativi. Per stare al passo con lo sviluppo delle Information and Communication Technologies (ICT) e con quanto proposto dai competitors, le nuove organizzazioni sono costrette ad aggiornarsi continuamente e ad aggiornare le tecnologie fino a ieri in uso, portando i propri dipendenti al rischio di sviluppare una strana combinazione di affatticamento cognitivo verso le nuove tecnologie e di avversione verso le stesse, etichettabile da alcuni come technostress e da altri come tecnofobia (sebbene, volendo essere precisi, questo secondo termine sia più ampio, andando ad abbracciare anche altre fobie specifiche verso tecnologie diverse rispetto ai computer, dai forni a microonde ai telefonini). Volendo fare chiarezza terminologica, diremo che non tutte le persone che presentano disagio verso le nuove tecnologie sono tecnofobici. Lo stress da tecnologia, che ha come sintomatologia specifica l'ansia, l'irritabilità, il mal di testa e la difficoltà ad interagire con il computer, diviene una vera e propria fobia quando scatena avversione totale e incontrollata verso i computer (si arriva a parlare di computer rage), cui si affianca una manifestazione acuta d'ansia, che può comparire al solo pensare un eventuale utilizzo dei computer; ansia che si traduce in impossibilità ad utilizzare il computer, quandanche questo venga riconosciuto potenzialmente utile dai tecnofobici, con importanti conseguenze invalidanti, a diversi livelli, per i soggetti. Per quanto riguarda le variabili antecedenti e correlate, il costrutto di tecnofobia è stato spiegato in letteratura facendo ricorso sia ad abilità cognitive matematiche sia a fattori di personalità; in modo particolare, i tecnofobici mostrano alti livelli di nevroticismo. Alcuni si sono chiesti se l'ansia da computer e la tecnofobia corrispondano ai criteri diagnostici del DSM-IV-R per le fobie specifiche. In modo particolare, Thorpe e Brosnan nel 2005 hanno avviato una serie di ricerche empiriche per rispondere a tale quesito, arrivando alla conclusione che la tecnofobia potrebbe essere presente nel DSM-IV-R tra i disturbi fobici specifici, presentando tratti comuni per livelli di ansia percepiti e pensieri persistenti. In modo particolare le sovrapposizioni con altre fobie specifiche riguardano una paura riconosciuta essere dai tecnofobici eccessiva ed irragionevole, una risposta d'ansia alla sola presenza di computer o addirittura l'insorgere dell'ansia anche solo immaginando l'immediato utilizzo del computer, ed infine l'evitamento di situazioni in cui si è costretti all'utilizzo del computer, con ovvie ricadute, specie in termini di benessere, crescita e soddisfazione occupazionale. A queste condizioni, Rosen e Weil, in uno studio del 1995, hanno aggiunto, affinché si parli di vera e propria tecnofobia, la presenza di dialoghi interni auto-critici durante l'utilizzo del computer o di altra nuova tecnologia. Sulla scorta di una possibile classificazione DSM-IV-R per la tecnofobia, la letteratura ha cominciato a riflettere se fosse possibile esportare da altre fobie specifiche, più nel dettaglio dalla aracnofobia, alla tecnofobia non solo i criteri diagnostici ma anche le metodiche di intervento. Nello specifico, a tutt'oggi la tecnofobia è prevenibile con programmi di azzeramento informatico e con sessioni di utilizzo delle tecnologie supportate da tutors. Dal punto di vista dell'intervento clinico, Brosnan, nel 1998, ha sviluppato un intero programma di riduzione della tecnofobia, che consente di controllare ed arginare tale fobia con sessioni di desensibilizzazione all'oggetto computer o con singole sessioni da un'ora di controllo d'ansia, cui si fa seguire, a casa, la lettura di un manualetto che permette ai soggetti di potenziare le proprie strategie di coping. In termini epidemiologici, alcuni studi hanno dimostrato che circa un terzo della popolazione nei Paesi industrializzati soffre di ansia da computer, con percentuali attorno al 5% di presenza di veri e propri tecnofobici. A soffrire maggiormente di tecnofobia, inoltre, sembrano essere le donne, sebbene questo sbilanciamento di genere stia svanendo nelle ricerche più recenti. Per quanto concerne gli strumenti di misura del tecnostress e della tecnofobia, ricordiamo la Computer Anxiety Rating Scale, la Computer Thoughts Survey, la scala General Attitude Toward Computers ed, infine, il Technology Acceptance Model Questionnaire di Davis (1989) che, in realtà, si situa ad un livello sovraordinato occupandosi della facilità o meno con cui si accettano le nuove tecnologie.