Rito

Rito
Sequenza gestuale di atti regolati da norme rigorosamente codificate. Durkheim parla del r. come di un mito messo in azione, nato dunque nelle religioni primitive e riscontrabile nei comportamenti pragmatici, che senza un legame con il mito non avrebbero alcun senso. In ambito antropologico, la tendenza è di rintracciare il significato del r. nella funzione che svolge e per la quale è messo in atto. Le funzioni più significative sono: a) il controllo del soprannaturale, tesi sostenuta da Malinowski, per il quale il r. è una modalità di attività che permette all'uomo, per costrizione o per persuasione, di agire nel mondo soprannaturale fatto esistere dai suoi desideri, dalle sue speranze e dalle sue previsioni; b) il controllo delle forze naturali, tesi sostenuta da Frazer, per il quale le credenze magiche e religiose hanno lo scopo di spiegare i fenomeni naturali, i r. quello di controllarli; c) il bisogno di protezione, tesi sostenuta da Malinowski per il quale il r. ridurrebbe lo stato d'ansia, da Van Gennep, che assegna al r. il compito di proteggere l'individuo nelle fasi di passaggio (dall'adolescenza all'età adulta, dal celibato al matrimonio, dalla vita alla morte etc.), e da De Martino che considera il r. capace di far superare le difficoltà che quotidianamente si incontrano in quanto fornisce modelli di comportamento rassicuranti garantiti dalla tradizione; d) la garanzia dell'ordine sociale, tesi nata contro l'interpretazione protettiva e vede come maggior sostenitore Radcliffe-Brown, secondo cui il r. ha come effetto psicologico la formazione di un sentimento di insicurezza e di pericolo; e) la funzione cognitiva, che vede la drammatizzazione e la rappresentazione come gli elementi in grado di portare in luce un conflitto e di chiarirne la natura operando anche con metodi razionali per stabilire responsabilità, sanzioni, riparazioni; f) la funzione comunicativa, teoria che considera il r. come una serie formale di procedimenti di natura simbolica che coinvolge un codice di comunicazione sociale e che si fonda nella credenza di possedere una specifica efficacia, per cui può agire nelle condizioni tecniche del celebrante e del partecipante; g) la garanzia della continuità dell'esperienza, teoria proposta da Lévi-Strauss, per il quale mentre il mito volta le spalle al continuo per ritagliare il mondo tramite distinzioni, contrasti, opposti, il r. segue un moto in senso inverso: partito dalle unità discontinue, impostegli da questa concettualizzazione preliminare del reale, esso cerca di raggiungere il continuo, benché la rottura iniziale operata dal pensiero renda questo compito impossibile; h) il significato inconscio del r., evidenziato da Lévy-Bruhl, che nel r. vede l'esplicitazione delle rappresentazioni collettive inconscie, e da Gell che, partendo dalla constatazione che il r. è una comunicazione attraverso simboli non verbali, ritiene che nel r. trovino espressione i contenuti inconsci di individui e gruppi che, in quanto inconsci, sfuggono alla verbalizzazione. Nell'ambito della psicoanalisi è stato osservato il parallelismo tra la pratica rituale e il cerimoniale ossessivo che promuove una serie più o meno complessa e stereotipa di atti, nel tentativo di ridurre l'angoscia determinata da pulsioni che il soggetto non può soddisfare perché giudica inaccettabili. La psicologia analitica, invece, interpreta il r. come un contenitore psichico della trasformazione che si rende necessario quando l'equilibrio psichico del soggetto è minacciato dalla transizione da un modo d'essere a un altro, per cui se un rituale adeguato non venisse fornito, come di solito accade nell'esperienza religiosa, è l'individuo a escogitare spontaneamente e inconsciamente dei rituali che salvaguardino la stabilità della personalità, mentre è in corso la transizione da una condizione psicologica a un'altra. Il rituale non incide sulla trasformazione, ma la contiene evitando possibili scompensazioni.