Psicofarmacologia

Psicofarmacologia
Branca della farmacologia che si occupa di chiarire, sperimentalmente e a fini terapeutici, l'azione delle sostanze chimiche sulle funzioni psichiche superiori. Nata agli inizi degli anni Cinquanta, la p. si avvale dell'apporto di molti ambiti disciplinari come la biochimica, la genetica, la psicofisiologia. Oggi si è persuasi che gli psicofarmaci abbiano un'azione più sintomatica che causale, nel senso che l'andamento del disturbo psichico risulta modificato più nelle sue manifestazioni esteriori che nelle sue dinamiche profonde. La classificazione degli psicofarmaci è un problema alquanto controverso, fondamentalmente per due ragioni: perché le classificazioni strettamente farmacologiche non corrispondono alle distinzioni cliniche; e perché le classificazioni basate sull'attività clinico-terapeutica sono relative, dato che questi farmaci hanno una serie di azioni distinte che si ritrovano in gruppi diversi. Sono stati adottati criteri di: classificazioni di tipo pragmatico, che, in base all'effetto terapeutico, dividono gli psicofarmaci in inibitori psichici, attivatori psichici e simulatori di psicosi; di tipo psicofisiologico, che, in base all'effetto sulle attività del sistema nervoso, dividono gli psicofarmaci in neurolettici, antipsicotici, ansiolitici, psicotogeni e antidepressivi; di tipo clinico, che prevede una distinzione in psicolettici, psicoanalettici e psicodislettici.
1) Psicolettici. Sono farmaci che producono rilassamento e depressione dell'attività psichica; si dividono in timolettici e noolettici. I timolettici comprendono i neurolettici che svolgono un'attività antipsicotica, e i tranquillanti. I neurolettici rispondono a cinque proprietà cliniche: creazione di uno stato di indifferenza psicomotoria, efficacia nella riduzione degli stati di eccitamento e agitazione, diminuzione progressiva di sintomi acuti e cronici delle psicosi, produzione di sintomi extrapiramidali e neurovegetativi, prevalenza di effetto sottocorticale. I più noti sono la resurpina, con effetto antimaniacale; la fenotiazine, con azione antidelirante e antiallucinatoria; i toxanteni, con effetto antidepressivo; i butirrofenoni, utilizzati in presenza di manifestazioni maniacali dato che riducono l'agitazione, la motilità. I tranquillanti sono sostanze che riducono l'ansietà patologica, la tensione e l'agitazione, senza effetto terapeutico sul disturbo dei processi cognitivi e percettivi. Hanno un'azione sull'eccitamento psicotico e non provocano fenomeni neurologici. I più noti sono gli alcandioli a effetto ansiolitico moderato, con rilassamento muscolare; e le benzodiazepine, che diminuiscono i livelli d'ansia nevrotica. I noolettici sono farmaci che abbassano il livello di vigilanza, deprimono le funzioni mentali e inducono il sonno. Tra i più noti abbiamo i barbiturici, che sono degli ipnotici impiegati come sedativi, ansiolitici; e riduttori dell'eccitamento psicomotorio.
2) Psicoanalettici. Sono farmaci che stimolano l'attività psichica e si distinguono in timoanalettici o antidepressivi, e nooanalettici o neurostimolanti. I timoanalettici agiscono sul tono dell'umore che tendono a elevare, sulle espressioni del pensiero che tendono a ravvivare, oltre a un effetto ansiolitico e a un effetto stimolante sull'azione di vigilanza con conseguente produzione dell'insonnia. I neurostimolanti stimolano lo stato di vigilanza, diminuiscono il senso di stanchezza fisica e mentale. Il gruppo più importante è quello degli anfetaminici che, oltre agli effetti positivi sulle prestazioni fisiche e intellettuali, comportano una diminuzione sulle capacità associative e, a lungo andare, una dipendenza.
3) Psicodislettici. Sono farmaci che turbano l'attività mentale, come la mescalina, l'LSD e la psilocibina. Un tempo utilizzati nell'ambito di alcune tecniche psicoterapiche, attualmente vengono considerati delle droghe.