Psichiatria

Psichiatria
Il termine è stato coniato in epoca illuministica per designare quella branca della medicina che si occupa delle malattie mentali. I disturbi dell'intelletto sono stati a lungo considerati, e lo sono ancora in alcune civiltà, come malattie soprannaturali. Contro tale concezione, la medicina greco-latina e quella araba avevano da tempo considerata la mania, la malinconia, l'epilessia, l'isteria e il delirio come vesanie di origine naturale e più tardi numerosi teologi difesero, nel Medioevo, questa tesi. Ma, nella stessa epoca e all'inizio del Rinascimento, la demonologia ispirò i peggiori eccessi e si dovettero vincere grandi resistenze per fare accettare l'idea che le streghe e i posseduti potessero soffrire di una malattia naturale. Altra difficoltà era quella inerente alla natura stessa della malattia mentale, ossia quella di considerarla contemporaneamente come malattia, ma senza assimilarla tout-court alle affezioni organiche che sono oggetto della patologia generale. È stato pertanto necessario che la patologia mentale si dimostrasse nella società umana non come un disturbo della vita organica che minaccia più o meno mortalmente la vita, ma come una patologia della vita psichica che minaccia l'uomo nella sua umanità. Solo nel Settecento, in Francia, Pinel (1793) dettò le prime regole per un trattamento medico razionale dei malati di mente, fino ad allora reclusi in condizioni disumane, e, con la definizione della malattia mentale in termini medici, liberò il malato mentale dalla sua condizione di reprobo che la società rinchiude per liberarsi dai devianti che offendono la morale e la ragione. Sempre in Francia, Esquirol (1848) pubblicò un trattato in cui compare una prima distinzione nosografica tra pazzi, che dalla normalità approdano alla follia, e deficienti mentali, che presentano tratti di insufficienza fin dalla nascita. Successivamente, in base al presupposto che le malattie mentali sono determinate da alterazioni cerebrali, si adottarono negli studi psichiatrici l'osservazione clinica e il metodo anatomo-patologico. Tale impostazione ha portato alla nascita della neuropsichiatria, ossia della scienza che si basa sul concetto di inscindibilità tra malattia mentale e malattia neurologica. Nell'Ottocento, oltre all'approccio organicista, nasce quello descrittivo, a opera soprattutto di Kraepelin, che sottolinea l'importanza di una classificazione delle malattie mentali sulla base dei sintomi presentati. Sorge in tal modo la p. clinica, che offre uno schema indispensabile all'osservazione, alla diagnosi e alla prognosi dei disturbi mentali. Infatti, su tale base, si sono sviluppati gli studi biologici e anatomo-patologici applicati alla ricerca di substrati neuropatologici delle malattie mentali. Agli inizi dell'Ottocento, tuttavia, si passò dal livello descrittivo a quello dinamico, dove all'interpretazione organicista della patologia mentale si sostituì l'interpretazione psicogenetica, interessata allo studio dei processi e dei meccanismi psicologici che sono alla base dei disturbi mentali. Tale rivisitazione del concetto di malattia psichica e il maggior peso dato agli aspetti patogenetici individuali si è operata sotto l'influenza di due grandi movimenti di pensiero profondamente legati fra di loro. Da un lato, le scoperte fondamentali della struttura dell'inconscio e del suo ruolo patogeno da parte di Freud hanno rivoluzionato la p. classica kraepeliniana. Con questa novità metodologica, dalla p. si separò la psicopatologia, che ha fatto proprio il concetto di malattia come processo, le cui cause vanno cercate in ambito psicologico con metodi differenti rispetto a quelli impiegati dalle scienze biologico-naturalistiche. Dall'altro, l'importanza data ai fattori sociali e all'ambiente (storia dell'individuo, relazioni con il gruppo familiare e l'ambiente culturale, reazione alle situazioni) ha ugualmente portato gli psichiatri di formazione psicoanalitica a ridimensionare il concetto di malattia mentale. A questa rivoluzione delle idee ha corrisposto il passaggio, nel campo dell'assistenza, dalla concezione dell'asilo come luogo dove venivano rinchiuse le forme per così dire ineluttabili di alienazione a quella dell'ospedale psichiatrico o dei servizi di cura aperti come organizzazioni di assistenza destinati a prendersi carico dei malati, la cui evoluzione era più spesso influenzabile di quanto non si pensasse. Verranno pertanto discussi, qui di seguito, i principali indirizzi verso i quali si è rivolta la p. nel corso della sua evoluzione a disciplina autonoma, e come viene considerata attualmente, pur restando validi gli stretti legami con altre branche mediche, quali ad esempio la neurologia.
1) Indirizzo medico-biologico. Questo modello si richiama alla concezione anatomo-cerebrale e fisiologica della malattia mentale dove la malattia, e non la figura del malato, si configura come obiettivo primario, a partire dalle opere di Griesinger e Kraepelin che collocano la p. all'interno delle scienze naturali, regolate dal concetto di causalità lineare. Tale indirizzo, che ancora oggi rappresenta un importante aspetto della p., si avvale dei contributi della genetica per il ruolo dell'ereditarietà della malattia mentale; della neuropsicologia per le correlazioni tra gli aspetti psicopatologici e le alterazioni delle strutture anatomiche; dell'endocrinologia per le modificazioni emozionali e comportamentali dovute ai disturbi della regolazione e della reattività del sistema ormonale; della neurologia per il rilievo che i fattori biologici hanno, nell'ambito di disturbi degenerativi, infiammatori, tossici, traumatici, neoplastici nella genesi di talune patologie psichiche; della psicofarmacologia per il contributo dei farmaci nel trattamento dei sintomi psichiatrici e per il numero significativo di ricerche rese possibili in ambito neurofisiologico. Tale indirizzo ha permesso di riordinare i sintomi in unità sindromiche, costruite in base alla loro apparenza fenomenica, contribuendo alla costruzione della clinica e della nosografia psichiatriche.
2) Indirizzo psicodinamico. Si avvale soprattutto dei contributi offerti dalla psicoanalisi e, più in generale, dalla concezione psicodinamica dell'apparato psichico, che danno maggiore importanza agli aspetti psicologici e interpersonali rispetto a quelli biologici. Alla base si pone la nozione di inconscio, dove sono contenute le pulsioni emotive di cui il soggetto non ha coscienza, ma che agiscono dinamicamente sull'espressione emotivo-comportamentale dell'individuo. Il disturbo psichico viene pertanto riletto in termini di conflitti fra istanze psichiche diverse che si possono comprendere a partire da una concezione energetica della vita psichica, con azione e reazione di quelle tensioni biologiche che sono le pulsioni di fronte ai dati e agli eventi della realtà. Lo scopo della terapia è una presa di coscienza di tale conflittualità inconscia, con progressivo superamento attraverso una modificazione dei termini di conflittualità.
3) Indirizzo fenomenologico. In questo ambito i sintomi non vengono più interpretati come indice di malattia, ma viene considerato il senso che l'esperienza psicopatologica ha nel vissuto soggettivo. Questa corrente, che ha come capiscuola Jaspers (psicologia comprensiva) e Binswanger (analisi esistenziale), studia la relazione tra mondo interiore, mondo degli altri e mondo-ambiente, che non sono in un rapporto di causalità lineare, ma nella modalità del circolo ermeneutico. Tale indirizzo sostituisce alla spiegazione della malattia la comprensione del malato psichico, riuscendo in tal modo a evidenziare aspetti qualitativi che sfuggono a una analisi quantitativa dell'indirizzo medico biologico.
4) Indirizzo comportamentista. Nasce dalle prime indicazioni della riflessologia operate da Pavlov e considera il disturbo psichico come derivante da un difetto di apprendimento, per cui occorre ricondizionare il paziente affinché possa essere in grado di fornire risposte adattate alla realtà, abbandonando quelle disadattate apprese in situazioni ansiogene. In tal senso, il disturbo viene ricondotto al sintomo e alla sua risoluzione, escludendo esplicitamente la possibilità di un'indagine introspettiva che non offre garanzie scientifiche e oggettivabili.
5) Indirizzo cognitivista. Questa corrente parte dal presupposto che l'individuo operi un'elaborazione mentale della propria esperienza del mondo, analogamente a un sistema informativo in cui i dati ambientali e sensoriali vengono organizzati secondo codici di entrata (input) per l'immagazzinamento e rielaborazione e codici di uscita (output) per le risposte, ciascuno in grado di esercitare un feedback sugli altri. In tale contesto, il disturbo psichico viene interpretato come l'effetto di un'alterazione cognitiva che si verifica ogni volta che il soggetto sperimenta informazioni che non si accordano con il suo precedente assetto mentale, con conseguente incongruenza che produce tensione, non altrimenti risolvibile se non con una ristrutturazione del proprio campo cognitivo.
6) Indirizzo sistemico. Deriva dagli studi della scuola di Palo Alto, in particolare da Bateson e Watzlawick, e considera il singolo individuo come originariamente inserito in un sistema di comunicazione, dove, come in ogni sistema, vigono i criteri della totalità, per cui la parte può essere compresa solo a partire dal tutto, della retroazione: l'attività di ogni singolo elemento influenza ed è influenzata dall'attività di ogni altro elemento, e dell'equifinalità, in base alla quale ogni sistema è la miglior spiegazione di se stesso perché i parametri del sistema prevalgono sulle condizioni da cui ha tratto origine. Ne consegue che la spiegazione del disturbo psichico non va cercata nel passato, ossia in dati che non appartengono al sistema, ma nei parametri e nelle regole che appartengono al sistema stesso, che può essere modificato dall'intervento terapeutico. Esso infatti interviene, attraverso la comunicazione, a modificare l'altro sistema rappresentato dal paziente, dalla famiglia, dal gruppo o dalla comunità, mediante quell'area di contatto dove i due sistemi entrano in relazione.
7) Indirizzo sociologico. Questo indirizzo pone l'accento sul rapporto tra problematiche psichiche e fattori sociali. Si basa sulla teoria interpersonale della p. ideata da Sullivan e si è sviluppata da Baruk, che ha studiato l'influenza della vita collettiva sui disturbi psichici individuali, oltre ai disturbi tipici di una società che si ripercuotono sui singoli individui. Parallelamente, si sono delineati tre ordini di studi, che vanno sotto il nome di p. sociale: i processi di desocializzazione individuale, le correlazioni tra disorganizzazione sociale e disorganizzazione individuale e le relazioni fra le malattie mentali e determinati fatti etnici o socio-ambientali, quali la stratificazione in classi, la struttura della famiglia, le particolari forme religiose, oltre il problema relativo alla trasferibilità dei quadri nosologici della p. occidentale ad altre culture.
8) L'antipsichiatria. Tale movimento ha rappresentato un importante fenomeno negli anni Sessanta, negli Stati Uniti con Goffman e Szasz e in Italia con Basaglia, che ha contribuito a una riorganizzazione dell'impostazione della psicopatologia e dell'assistenza psichiatrica, col rifiuto della concezione manicomiale e di ogni trattamento coatto, partendo dal presupposto che i disturbi mentali non possono essere curati come si curano le malattie dell'organismo, poiché nella maggior parte dei casi le sofferenze psichiche sono il risultato di condizionamenti ambientali o di contraddizioni sociali. Una concezione esclusivamente sociogenetica delle malattie psichiche comporta, pertanto, l'affermazione del carattere ideologico e politico della psichiatria classica.