Piaget, Jean
Piaget, Jean
Biologo, psicologo ed epistemologo svizzero (Neuch tel, 1896 - Ginevra, 1980). Studi ò scienze naturali all'Universit à di Neuch tel, laureandosi nel 1918. Si dedic ò in seguito, sotto la guida di E. Clapar ède, agli studi di psicologia dell'infanzia, perfezionandosi a Ginevra e a Parigi. Nel 1922 divenne professore di psicologia dell'et à evolutiva all'Istituto Jean Jacques Rousseau, fondato a Ginevra da Clapar ède, e nel 1940 ne fu nominato direttore. Nel 1955 cre ò, sempre a Ginevra, il Centro Internazionale d'Epistemologia Genetica. Opere principali: Il linguaggio e il pensiero del fanciullo (1923); Giudizio e ragionamento nel bambino (1924); La rappresentazione del mondo nel fanciullo (1926); La nascita dell'intelligenza (1936); La psicologia dell'intelligenza (1947); Trattato di logica (1949); Introduzione all'epistemologia genetica (1951); Biologia e conoscenza (1967); Lo strutturalismo (1968).
Nei suoi testi pi ù importanti, tra cui Introduzione all'epistemologia genetica (1950) e Biologia e conoscenza (1966), P. rompe decisamente con gran parte dell'epistemologia occidentale. A partire da innovativi studi sull'et à evolutiva indagata nella sua dimensione dello sviluppo delle facolt à mentali, P. (la cui influenza esercitata sulla nascita della psicologia cognitivista è stata notevole) propone una visione dell'attivit à psichica e cognitiva che renda conto della sua complessa relazione con le strutture fisiche e biologiche sottostanti. Ogni attivit à cognitiva presuppone una maturazione biologica condizionante, anche se non in ultima istanza. Lo studio della mente umana non pu ò prescindere da un concetto fondamentale e molto ampio come quello di sviluppo, sia dal punto di vista degli elementi esterni (ambiente sociale e culturale) sia a livello genetico. L'ipotesi centrale di P. avversa sia all'approccio comportamentista sia alle prospettive innatiste è che ci sia un fondamentale parallelismo tra i progressi compiuti, l'organizzazione razionale e logica della conoscenza, e i corrispettivi processi psicologici. Il bambino, del cui sviluppo cognitivo P. ci ha offerto, in tutta la sua opera, una ricostruzione sistematica e accurata, sembra crescere e potenziare le proprie capacit à mentali rispettando una sequenza determinata di variazioni e di mutamenti connessi a certi stadi della sua vita. Ogni stadio che nello sviluppo cognitivo si differenzia da un altro, presuppone proprio lo stadio precedente. Nulla è innato, ed ogni fase riflette e presuppone le acquisizioni pregresse e procedendo attraverso ipotesi (sulla base delle esperienze precedenti) e successive deduzioni (che, a loro volta, costituiranno il terreno per ipotesi future). P. distingue sostanzialmente due fasi fondamentali del periodo evolutivo, una definita periodo sensomotorio (che copre i primi due anni di vita) e un'altra, molto pi ù vasta, definita periodo concettuale (che va dal terzo al quindicesimo anno di vita e rappresenta il periodo pi ù complesso del pensiero infantile, a sua volta costituito da una fase intuitiva, dai 3 a i 7 anni, una operatorio-concreta, dai 7 agli 11 e una finale di tipo ipotetico-deduttiva che si sviluppa dagli 11 ai 14 anni). In questa dimensione di sviluppo del pensiero infantile ogni modalit à conoscitiva e di rapporto con il mondo esterno si organizza, in maniera estremamente sofisticata, attraverso variazioni costanti e correlate: passaggio dal pensiero egocentrico (uso esclusivo dei riflessi e indistinzione tra soggetto e cose) alle prime coordinazioni sensomotorie ; passaggio dallo sfalsamento della percezione alla coscienza della realt à esterna; passaggio dalla scoperta di semplici immagini di persone alla codificazione concettuale vera e propria, ad un pensiero capace di interagire con le cose circostanti e quindi approdo finale ad un livello (ipotetico-deduttivo) in cui la mente del bambino si fa adulta, produce autonome rappresentazioni interne, scopre il valore del simbolo e del ragionamento astratto, definisce le categorie logiche del pensiero stesso. A partire dai risultati di questi studi sullo sviluppo del bambino, P. chiarisce la portata euristica del metodo genetico-strutturale applicato alla psicologia e alle scienze in genere. Parlare di strutture (o di sottomissione a sequenze valide in assoluto come nell'et à evolutiva) non significa eliminare il concetto di individuo o le sue attivit à. La razionalit à umana stessa, come nel caso del bambino, sembra infatti derivare da un processo ininterrotto di coordinamenti e di messe in reciprocit à . Le strutture (cognitive, evolutive, epistemologiche) sono l'esito di questa sorta di profonda processualit à che organizza la nostra soggettivit à: Il soggetto esiste scrive P. perch é, in generale, l'essere delle strutture è la loro strutturazione (Lo strutturalismo, 1968). La struttura stessa va interpretata come prodotto autentico della dimensione umana pi ù attiva, quella che si esprime nei processi di costruzione e della successiva rielaborazione, da un punto di vista sia genetico sia astratto o conoscitivo. L'assunto-chiave di P. è che tra la genesi di un fenomeno e la sua struttura esista una totale interdipendenza : La genesi non è mai se non il passaggio da una struttura all'altra [ ] una struttura non è mai se non un insieme di trasformazioni (Lo strutturalismo, 1968). In questo senso tutto è genesi : ogni formulazione cognitiva è costituita da ipotesi e applicazioni costanti, anche e soprattutto a livello della conoscenza della realt à esterna: Gli oggetti e le loro leggi non possono essere conosciuti che grazie a quelle delle nostre operazioni (Lo strutturalismo, 1968). E tutto ci ò non solo al livello degli universi culturali, ma anche a livello biologico: all'interno nelle strutture organiche è potenzialmente possibile rintracciare la presenza di una costruzione evolutiva e di una interna combinatoria , i cui elementi primi potrebbero essere rintracciati al livello cromosomico (DNA) di ciascun soggetto.