Memoria

Memoria
La m. può essere considerata il meccanismo che permette a tutte le specie animali, con potenzialità proporzionali alla complessità del sistema nervoso, di fissare, conservare e rievocare esperienze e informazioni acquisite dall'ambiente (interno ed esterno) e, nell'uomo, derivate anche dal pensiero e dalle emozioni. Fin dagli anni Sessanta, i ricercatori hanno considerato la m. come un sistema complesso, articolato in diversi sottosistemi — ad esempio, quelli della m. a breve e a lungo termine — elaborando, a tal fine, modelli di memorizzazione che prevedono l'identificazione di una serie di stadi successivi. Alcuni concetti riguardanti tali stadi di elaborazione della m. rimangono a tutt'oggi validi, come, ad esempio, gli aspetti inerenti la codificazione (encoding), l'immagazzinamento (storage) e il richiamo (retrieval). Tutte queste ricerche hanno confermato che la m. non può essere considerata un sistema unitario, ma piuttosto un insieme di sottosistemi integrati: esempio classico è rappresentato dalla distinzione fra la m. a breve e a lungo termine. Più recentemente, nell'ambito della m. a lungo termine, si è giunti a distinguere una m. dichiarativa e una non dichiarativa, espressioni che più o meno ripropongono la vecchia distinzione tra m. esplicita e implicita. La m. dichiarativa comprende i due sistemi della m. episodica e della m. semantica: la m. episodica si riferisce al sistema coinvolto nella rievocazione di particolari esperienze o episodi, è strettamente influenzata dal livello di attenzione e organizzazione e, inoltre, riflette l'importanza di questi processi per l'elaborazione di strutture di m. che siano accessibili al recupero (retrieval). La m. semantica sarebbe gradualmente influenzata dai processi educativi, iniziando con la conoscenza percettiva del mondo fisico, arrivando a includere il linguaggio, la conoscenza dell'ambiente sino all'acquisizione di tutte le informazioni specialistiche dettagliate nell'ambito dei processi individuali o delle conoscenze professionali. La m. semantica e quella episodica vengono attualmente considerate come parte di uno stesso sistema, ma operanti in circostanze diverse.
La m. non dichiarativa può essere intesa come il prodotto di un gruppo di sistemi di apprendimento che hanno in comune il fatto che sono indipendenti dalla m. episodica: questo significa che tali sistemi sono in grado di accumulare informazioni, ma non di estrarre dall'insieme e identificare episodi specifici. Quella non dichiarativa rappresenta, quindi, un tipo di m. specializzata nell'accumulare informazioni provenienti dalla realtà circostante, ma non sarebbe in grado di individuare e tenere separati i singoli episodi. Sono stati identificati diversi tipi di fenomeni che rientrano nell'ambito della m. non dichiarativa: il priming (attraverso il quale i soggetti acquisirebbero la capacità di identificare una parola ripresentata in condizioni di rumore o di riprodurre la parola quando viene loro proposta la radice o parte di questa); l'apprendimento procedurale (riguardante l'acquisizione di abilità motorie, ad esempio guidare un veicolo, o cognitive, ad esempio la capacità di problem solving); il condizionamento associativo (fondato sull'associazione fra due elementi) e il condizionamento valutativo (riferito all'influenza dell'esperienza pregressa sulla valutazione dell'importanza dello stimolo). Per quanto riguarda le basi neuroanatomiche del processo mnesico, si ritiene che le modificazioni neuronali associate all'apprendimento e alla m. avvengano a livello della sinapsi, attraverso modificazioni strutturali neuronali, de novo o adattative, comprendenti variazioni di struttura postsinaptiche, aumento del numero delle vescicole presinaptiche, incremento delle derivazioni dendritiche e aumento di densità delle spine dendritiche. Proprio in tale ottica, da decenni la neuropatologia si preoccupa di trovare un limite fra la senescenza fisiologica e quella patologica: i disturbi della m. rappresentano, infatti, un deficit cognitivo comune all'invecchiamento fisiologico e ai disturbi neuropsichiatrici dell'anziano. Il processo di invecchiamento pare, tuttavia, dimostrarsi come un continuum, con alterazioni che solamente sul piano quantitativo e localizzatorio possono tracciare una linea di confine tra la senescenza fisiologica e quella patologica, dove per senescenza fisiologica della m. si intende il deterioramento mnesico clinicamente non accompagnato dalla compromissione di altre funzioni superiori. Le basi neuropatologiche del disturbo mnesico si riconoscono nella ridotta funzionalità del sistema neuronale colinergico setto-ippocampale, dipendente sia dalla perdita neuronale, con incremento per campo delle placche senili, sia dalla degenerazione neurofibrillare di Alzheimer sia ancora per le gravi modificazioni del flusso assonale lento, preposto al trofismo intracellulare. Tuttavia, la maggiore compromissione funzionale dei contatti interneuronali pare correlarsi all'importante riduzione di densità delle spine dendritiche che, verosimilmente, rappresentano il substrato anatomico dei processi cognitivi e che precedono, nella loro involuzione, la più estesa disorganizzazione dei sistemi di associazione attraverso la perdita dei dendriti orizzontali. La maggior parte delle informazioni riguardanti la neuroanatomia e l'organizzazione della m. proviene da studi clinici umani relativi ai disturbi mnesici conseguenti a danni cerebrali o da studi sperimentali animali: esistono, in tal senso, peculiari differenze fra la neuroanatomia della m. dichiarativa rispetto a quella non dichiarativa. Molte regioni cerebrali sono coinvolte nel funzionamento della m. dichiarativa. Ad esempio, la rimozione chirurgica della porzione mediale dei lobi temporali determina un grave deficit della m. dichiarativa, emisfero-correlata: le aree maggiormente coinvolte nei processi mnesici dichiarativi sono l'ippocampo, le strutture corticali a esso anatomicamente collegate (quali la corteccia entorinale e il giro paraippocampale) e l'amigdala. Inoltre, sin dall'inizio del XX secolo è noto che danni a livello della regione diencefalica possono causare disturbi mnesici: in tale area le strutture maggiormente implicate sono il nucleo dorsomediale del talamo, i corpi mammillari dell'ipotalamo e il tratto mammillo-talamico. I dati clinici principali inerenti al coinvolgimento mnesico di tali aree provengono dalle osservazioni cliniche della sindrome di Korsakoff e/o dall'encefalopatia di Wernicke: i deficit riguardano, al di fuori del possibile stato confusionale, la presenza di disturbi della m. dichiarativa, compresa l'amnesia anterograda e quella retrograda. Caratteristica è la presenza di confabulazioni e di falsi riconoscimenti, nonostante un funzionamento intellettuale globale discretamente conservato. Ulteriori deficit della m. sono stati osservati nei danni a carico del basal forebrain, cioè dell'area soprachiasmatica, e in particolare nelle lesioni del nucleo del setto e di quello basale di Meynert. Queste ultime aree paiono essere precipuamente coinvolte nel processo mnesico, sia direttamente sia attraverso la modulazione che tali strutture esercitano sulle aree mnesiche del lobo temporale mediale. Anche la corteccia prefrontale risulta essere di primaria importanza per specifiche funzioni mnesiche, ad esempio nei processi attentivi e nell'organizzazione dell'informazione al fine del suo richiamo (retrieval). Le basi neuroanatomiche della m. non dichiarativa (riguardante le performance basate sul comportamento, quali le capacità di apprendimento, di condizionamento e di priming) sono meno conosciute, forse perché meno correlate a singole specifiche aree. Per quanto riguarda la psicopatologia della m., è possibile distinguere disturbi di tipo quantitativo e disturbi di tipo qualitativo. I disturbi quantitativi sono rappresentati dall'ipermnesia (costituita da un aumento quantitativo delle capacità mnemoniche, di tipo permanente o transitorio); dall'ipomnesia (rappresentata da un diffuso e progressivo indebolimento delle capacità mnesiche) e, soprattutto, dall'amnesia, caratterizzata da un difetto della m., generalmente circoscritto a un periodo del passato, prevalentemente in rapporto a un evento patologico organico (un trauma cranico, intossicazioni, disturbi vascolari etc.) o psichico (shock emozionale etc.). L'amnesia può essere anterograda, quando riguarda avvenimenti accaduti dopo l'evento patogeno, con conservazione dei vecchi ricordi, oppure retrograda, quando si riferisce ad avvenimenti accaduti prima dell'evento patogeno. I disturbi qualitativi, definiti anche paramnesie, sono rappresentati dalle allomnesie (illusioni della memoria, che rappresentano, quindi, distorsioni o deformazioni di engrammi precedentemente registrati) e dalle pseudomnesie (allucinazioni della m. che comprendono i falsi riconoscimenti e i falsi ricordi). Per falso riconoscimento si intende il riconoscere come ricordo una situazione mai sperimentata (fenomeno del déjà vu, déjà vecu). Un esempio paradigmatico è il fenomeno della confabulazione, frequente nelle psicosi di Korsakoff e talvolta in stati di demenza, in particolare nella presbiofrenia. Per quanto attiene alla psicopatologia clinica della m., è necessario ricordare che i disturbi della funzione della m. sono diffusi nella patologia neuropsichiatrica, potendo comparire, con modalità qualitative e quantitative differenziate, in svariati contesti sindromici fra cui la sindrome di Korsakoff, la schizofrenia, alcuni disturbi d'ansia, i disturbi dell'umore e, ovviamente, nell'invecchiamento patologico e nella demenza. Il disturbo mnesico nella sindrome di Korsakoff, che si riscontra frequentemente negli alcolisti cronici, è caratterizzato non solo dalla difficoltà di formulare nuovi ricordi, ma anche per la presenza di un'amnesia per gli avvenimenti accaduti molto tempo prima nella loro vita, comunque prima dell'instaurarsi della malattia. I pazienti con sindrome di Korsakoff mostrano anche altri deficit cognitivi e difficoltà nella risoluzione di problemi. Infatti, perseverano nell'usare una certa strategia per lunghi periodi, anche quando questa si rivela errata. Tale perseverazione sembra essere imputabile a lesioni della corteccia frontale e dei nuclei talamici. Il rapporto intercorrente fra disturbo cognitivo e patologia schizofrenica, specie cronica, è complesso in quanto la sovrapposizione fra sintomi negativi, alterazioni dell'elaborazione del dato di realtà e possibili alterazioni neurofunzionali concomitanti, rendono la valutazione del deficit cognitivo assai problematica. Fra i disturbi dell'umore anche la depressione, specialmente quella maggiore, presenta sovente connessioni con i disturbi della sfera cognitiva e mnesica: nei pazienti con patologia depressiva non è infrequente la presenza di difficoltà di tipo cognitivo, quali deficit dell'attenzione, della concentrazione, dell'acquisizione di nuove informazioni e, quindi globalmente, del processo mnesico. Nella depressione esistono poi precisi effetti di congruenza dell'umore sul processo della m.: il richiamo mnesico del materiale esperienziale negativo viene facilitato, mentre viene inibito quello del materiale con valenze emozionali positive. Il quadro depressivo di coinvolgimento mnesico e cognitivo può, in taluni pazienti anziani, essere così importante da simulare una reale demenza: si tratta della patologia, talora reversibile con un adeguato trattamento antidepressivo, denominata pseudodemenza o depressione mascherata cognitiva. Anche i disturbi d'ansia nelle loro svariate manifestazioni possono indurre alterazioni a carico del processo mnemonico attraverso un difetto di attenzione e apprendimento. In tal senso, ad esempio, l'ansia intesa come fenomeno di tensione positiva verso il raggiungimento di uno scopo potenzia i meccanismi di attentività e, tramite l'incremento dell'arousal, anche il processo mnesico. Quando invece il livello d'ansia, o le sue manifestazioni psicosomatiche, si struttura in una dimensione patologica risulta evidente come l'attentività subisca interferenze negative, così come venga a essere disturbata proprio quella delicata e fondamentale fase della trascrizione mnesica. I disturbi mnesici rappresentano il sintomo patognomonico in quelle sindromi caratterizzate da un declino delle funzioni cognitive, come le demenze, dove processi degenerativi primari o secondari del cervello costituiscono il fattore determinante per una diminuzione di quelle funzioni, come l'attenzione e l'apprendimento, che sono essenziali per un buon funzionamento della memoria. Anche nell'invecchiamento normale, dove si verificano condizioni di maggiore vulnerabilità neuronale e, quindi, un impoverimento di quelle sofisticate strutture neurotrasmettitoriali che rappresentano il substrato dell'informazione interneuronale, emergono sovente segni più o meno rilevanti di un difetto nelle prestazioni mnesiche. In questo contesto, i nuclei colinergici basali e le loro connessioni con le formazioni ippocampali assumono peculiare importanza per il loro ruolo nelle funzioni cerebrali superiori e il loro coinvolgimento nella malattia di Alzheimer. Nel corso dell'invecchiamento, il soggetto anziano manifesta invece un fisiologico deficit della capacità di memorizzare fatti recenti, mentre è solitamente meno compromessa la m. a lungo termine. Il caratteristico fenomeno per cui vengono inizialmente perdute le tracce mnesiche più recenti e, solo in fasi più avanzate del processo patologico, le tracce mnesiche più remote, viene generalmente indicato come legge di Ribot. Nell'anziano normale, sul versante cognitivo, risultano deficitari la capacità e la velocità di apprendimento, l'elaborazione di nuove informazioni, i tempi di reazione a stimoli complessi, nonché alcune funzioni sensoriali discriminative. Recentemente, sono state condotte numerose ricerche per identificare la cosiddetta Age Associated Memory Impairment (AAMI) come entità nosografica ben definita. Un problema di frequente riscontro nella clinica riguardante i disturbi mnesici è la possibile correlazione fra disturbi della m. e impiego di farmaci agenti sul sistema nervoso centrale. In generale, tutti i neuropsicofarmaci con azione sedativa, quali i barbiturici, le benzodiazepine e gli antistaminici, determinano una riduzione della prestazioni mnesiche, mentre le sostanze psicostimolanti possono favorire un miglioramento delle performance di m., quanto meno temporaneo. Per tale collateralità mnesica da farmaci, è ovvio che gli anziani, già biologicamente più suscettibili al disturbo di alcuni tipi di m., sono i soggetti maggiormente a rischio. È in tal senso possibile distinguere farmaci che interferiscono sui sistemi estrinseci della m., rappresentati dai meccanismi dell'attivazione e dell'attenzione, e farmaci che agiscono invece sui sistemi intrinseci della m., cioè sui circuiti neuronali deputati all'immagazzinamento e al richiamo del dato mnesico: l'azione sui sistemi estrinseci avviene principalmente attraverso un'interferenza negativa con i processi attentivi ed è quindi propria di ogni farmaco che possa esercitare un'azione sedativa (barbiturici, benzodiazepine, neurolettici, antistaminici, antidepressivi sedativi etc.), mediata, ad esempio, dal sistema GABAergico e/o istaminergico. L'interferenza negativa con i sistemi intrinseci dipende, invece, per lo più dall'azione su altri sistemi neurotrasmettitoriali, implicati più strutturalmente nel processo mnesico (quali, ad esempio, il sistema dopaminergico e colinergico) ed è più frequentemente correlata ai farmaci con effetto anticolinergico (anticolinergici propriamente detti, antidepressivi triciclici, neurolettici fenotiazinici etc.). I farmaci antiepilettici, quali i barbiturici, la fenitoina e il primidone, esercitano un'azione deprimente sui sistemi multisinaptici responsabili della vigilanza e attentività, talora talmente gravi da indurre quadri simil-demenziali (demenza idantoinica), mentre altri farmaci quali ad esempio la carbamazepina, il vigabatrin e la lamotrigina dimostrano scarsa collateralità cognitiva. Esistono, peraltro, farmaci che attivano il processo cognitivo, attraverso un effetto stimolante sull'apprendimento e la memoria con diverso meccanismo di azione. È evidente come per taluni di essi un miglioramento dell'apprendimento, e quindi della m., soprattutto in condizioni di affaticamento o ridotta attentività, possa derivare da una stimolazione dei meccanismi dell'attenzione mediante il coinvolgimento di svariati neurotrasmettitori e neuromodulatori. In tal senso, l'amfetamina agisce sui neuroni catecolaminergici, la caffeina antagonizza le azioni deprimenti dell'adenosina e le beta carboline interferiscono con le azioni del GABA. Peraltro, verso i farmaci nootropi, per lo più derivati dal pirrolidone (quali piracetam, oxiracelam, aniracetam etc.), facilitano l'apprendimento, la m. recente, il consolidamento e il richiamo soprattutto quando il meccanismo cognitivo risulta depresso da fenomeni correlati all'età, lesioni o altri farmaci. I nootropi possono, in effetti, essere in grado di antagonizzare l'amnesia da anticolinergici e da elettroshock mediante un'attivazione dei circuiti colinergici ippocampali, facilitando l'instaurarsi della long term-potentiation e aumentando il consumo di glucosio cerebrale. Recentemente, la ricerca su farmaci che possano contrastare l'evoluzione del disturbo cognitivo e mnesico nell'ambito della demenza ha consentito di sviluppare molecole agenti attraverso l'inibizione delle colinesterasi, al fine di incrementare il ridotto tono colinergico dei pazienti affetti da Alzheimer o patologie correlate.