Jung, Carl Gustav

Jung, Carl Gustav
Psichiatra e psicoanalista svizzero (Kesswil, 1875 - Küsnacht, 1961) studioso dagli interessi multiformi e fondatore della psicologia analitica. Laureatosi nel 1900 in medicina e specializzatosi in psichiatria a Basilea, si trasferisce in seguito a Zurigo, perfezionandosi con Eugen Bleurer. Nel 1900 legge l'Interpretazione dei sogni di Freud, rimanendone profondamente impressionato. Più tardi studia alla Salptriere di Parigi, come già Freud prima di lui. Sempre più attratto dalla psicoanalisi freudiana; comincia a pubblicare i risultati delle sue ricerche, tra cui La psicologia delle dementia precox (1907), un lavoro che gli procura notorietà tale da suscitare l'interessamento di Freud. I due danno inizio ad un'amicizia intellettuale intensa (benché non priva di contrasti) e J. entra a far parte dell'Associazione Psicoanalitica Internazionale, di cui diviene presto presidente. Nel 1912, dopo un primo periodo di feconda collaborazione con Freud, J. pubblica Libido: simboli e trasformazioni, l'opera che segna il suo allontanamento dal maestro e l'inizio di una nuova prospettiva teorica. Negli anni seguenti, ormai lontano dalla psicoanalisi ufficiale, pubblica Psicologia dell'inconscio (1916) e Tipi psicologici (1921). Dedicatosi in seguito a studi etno-antropologici comincia un lungo periodo di viaggi in Africa, Arizona, Nuovo Messico, Kenya, Uganda e studia a fondo la psicologia dei popoli primitivi. Di questi anni sono L'io e l'inconscio (1928) e il Problema dell'inconscio nella psicologia moderna (1931). Nel 1938 è in India; nel 1944 di nuovo a Basilea, ove ottiene la cattedra di psicologia medica. Nel 1948 viene fondato a Zurigo il C.G. Jung Institut, di cui è eletto presidente. Negli ultimi anni il suo interesse si rivolge sempre più allo studio dei rapporti tra mistica e filosofia religiosa, di cui testimoniano opere come Psicologia e religione (1940), Psicologia e alchimia (1944), La psicologia del transfert (1946), Aiòn (1950).
1) Il distacco da Freud: l'allargamento della libido e l'importanza dei simboli. Il punto di partenza di J. è l'allargamento del concetto di libido. Freud aveva concepito la libido come il corrispondente psichico dell'energia fisica e l'aveva connotata come una forza di tipo quasi esclusivamente erotico, anzi come l'espressione stessa del lato sessuale della pulsione. L'aveva cioè definita sostanzialmente nei termini quantitativi dell'economia psichica. Per J., al contrario, la libido può essere intesa come energia psichica generale presente in tutti gli aspetti della personalità (Non intendevo più parlare di istinti di fame, aggressivi, sessuali ma considerare tutti questi fenomeni come manifestazioni diverse dell'energia psichica). La libido junghiana costituisce l'origine delle manifestazioni culturali e psicologiche del soggetto nella loro totalità; si tratta di un livello in cui diventa possibile parlarne in termini di simboli e trasformazioni. Fu proprio l'approfondimento di queste due nuove nozioni a decretare il distacco definitivo tra la sua concezione e quella freudiana. La dimensione del simbolo occupa, infatti, in J. una collocazione centrale. I simboli onirici di cui parlava Freud sono in realtà semplicemente dei segni, rappresentazioni che affiorano alla coscienza in sostituzione di altre inconsce. Nella prospettiva freudiana il contenuto inconscio, il materiale traumatico che provoca il conflitto psichico e che pertanto è soggetto ai processi di rimozione, per presentarsi alla coscienza deve convertirsi in sintomo, oppure emergere dalle deformazioni del sogno. Questo contenuto rimosso risente del lavoro onirico, degli spostamenti di significato, delle condensazioni e soprattutto della censura. È così che, secondo, Freud il materiale inconscio diventa quasi un simbolo autonomo (il sintomo nevrotico è ad esempio avvertito come una un corpo estraneo dal paziente) e si cristallizza sino costituire una parte del soggetto che soltanto il lavoro analitico potrà interpretare e sciogliere. In Freud tra simbolo, sintomo e trauma c'è sempre un legame stretto, quasi di tipo causale. Per J. al contrario, il simbolo è espressione della potenza generale della libido, e dunque non può essere spiegato deterministicamente: possiede piuttosto un valore teleologico finalizzato alla sintesi delle tensioni inconsce (il termine simbolo deriva dal greco synballein: mettere assieme) e costituisce una sorta di matrice originaria del divenire psichico del soggetto. Il simbolo non solo non va inteso come segno o sintomo di un conflitto; piuttosto, è ciò che permette al soggetto di mediare le sue diverse istanze inconsce. Il simbolo junghiano è il dispositivo che permette l'esplicarsi generale dell'energia psichica. La psiche stessa, nella sua globalità, parla simbolicamente. Su queste basi, in alcune opere successive, come la Psicologia dell'inconscio (pubblicata nel 1916, e costantemente rielaborata per vent'anni), L'io e l'inconscio (1928) e Tipi psicologici (1921), si delineano i tratti centrali della psicologia analitica di J.
2) Il processo di individuazione e la teoria degli archetipi. Nell'attività simbolica si condensa l'espressione stessa dell'energia psichica umana. La funzione simbolica (che a partire dal 1916 J. definisce funzione trascendente) agisce, infatti, anzitutto a livello della genesi della soggettività. L'individuo nasce costitutivamente immerso nei miti collettivi e negli stereotipi culturali ed è segnato a fondo dall'immaginario sociale in cui vive. Questo legame con l'insieme dei valori che ci preesistono e ci predeterminano segna il mostro sviluppo psichico. La stessa genesi delle nevrosi va ricercata in una mancata differenziazione del soggetto dal collettivo. Uno dei rischi più salienti, nell'economia dello sviluppo psichico dell'individuo a partire dall'età infantile, è rappresentato secondo J. proprio dalla possibilità di identificazione tra soggetto e collettività. La nevrosi e i disturbi mentali in genere costituiscono l'esito di un processo di individuazione fallito o insufficiente. Con l'espressione processo di individuazione J. intende il percorso compiuto da ogni soggetto dal doppio punto di vista del distacco dal collettivo e dell'integrazione con esso. Differenziarsi e individualizzarsi non significa, naturalmente, isolarsi dalla società. Piuttosto, si tratta di un processo di costituzione della personalità che deve tener conto di una più generale dimensione di intersoggettività. Non è un caso da questo punto di vista che la psicologia analitica di J. si sia spesso produttivamente saldata nel Novecento con correnti psichiatriche di derivazione strettamente fenomenologica. L'individuazione è un processo difficile ed ellittico. La personalità perfettamente individualizzata è quella in cui la funzione simbolica — cioè la possibilità di sintetizzare degli opposti, trascendendoli in una superiore unità primeggi sia sul potere delle istanze collettive che su quello proveniente dall'inconscio. Qui si inseriscono le ipotesi relative all'inconscio collettivo e al concetto di archetipo. Secondo J. l'individuo che ricerca a livello cosciente l'espressione più completa della propria personalità, e che dunque tenta di differenziarsi dal collettivo senza isolarsi, deve lottare anche contro un lato inconscio dominato da immagini arcaiche, pulsioni ancestrali, impulsi apparentemente sepolti ma in realtà attivi: gli archetipi. Nel corso di una lunga esperienza di analisi, J. ipotizzò la distinzione tra un inconscio personale molto simile a quello descritto da Freud, caratterizzato cioè da ricordi perduti, traumi rimossi, percezioni che non hanno raggiunto la soglia della coscienza e un inconscio collettivo dominato dagli archetipi. Questi rappresentano le figure originarie ed ereditarie che strutturano il nostro inconscio. Gli archetipi sarebbero le forme di rappresentazione più antiche e più generali dell'umanità e vanno intesi come traccia delle infinite esperienze delle generazioni passate. L'archetipo è ad un tempo sedimento di esperienze ripetute dell'umanità e forza strutturante delle stesse (forma a priori della nostra capacità di fare esperienze). Le più tipiche espressioni degli archetipi sono naturalmente proprio i miti, visti nelle loro infinite configurazioni e trasformazioni. Elementi che riemergono, di nuovo in forma di simboli, sia nei deliri psicotici sia più comunemente nel materiale onirico o nell'immaginario collettivo/culturale di cui sono intessuti i sistemi sociali. Si pensi all'intenso valore simbolico assunto nella letteratura, nelle fiabe, nelle esperienze mistiche, nei riti religiosi, nelle narrazioni popolari da immagini arcaiche come la Grande Madre, l'Eroe, il Vecchio, il Bambino abbandonato. L'ipotesi dell'esistenza di un inconscio collettivo dominato da immagini originarie getta luce nuova sul significato della nevrosi, e dunque sulla questione del processo di individuazione. Secondo J. in certi disturbi psichici, il soggetto non cede solo di fronte all'immaginario collettivo, al mondo esterno. Il fallimento del processo di individuazione si riflette anche a livello inconscio. Incapace di assorbire o di sintetizzare il materiale archetipico del proprio inconscio, il nevrotico soffre la potenza degli archetipi sino ad esserne travolto, come accade nel caso di certi deliri in cui affiora un'incontrollata proliferazione simbolica di immagini e figure arcaiche. La terapia junghiana mira in questo senso ad una costante ricerca di mediazione tra le varie forze che ingabbiano l'Io, ad una sorta di sintesi tra elementi sociali, soggetto e inconscio. Lo scopo della terapia analitica è infatti proprio quello di liberare la libido bloccata, l'energia non differenziata. La successiva produzione junghiana, rispetto a tali questioni, segna un ulteriore approfondimento.
3) Il Tipo, il Mito, il Sé. Tipi psicologici (1921) inscena un'amplissima disamina di genere caratterologico della personalità umana. Si tratta di un'opera apparentemente estranea sia alla psicoanalisi classica, sia allo studio dell'inconscio e degli archetipi avviato nelle prime opere da J. Ad uno sguardo più approfondito si rivela tuttavia come un'ulteriore tappa dell'indagine di J. sulla struttura generale della personalità, delle sue opposizioni e polarità. È l'opera in cui viene proposta la distinzione tra introversione ed estroversione, cioè il contrasto tra la natura paurosa esitante, riflessiva, ripiegata su se stessa degli introversi, e l'atteggiamento avventuroso, fiducioso, aperto e dinamico degli estroversi. È anche l'opera in cui si procede ad una descrizione tipologica generale delle attitudini umane da cui emerge un'interpretazione relazionale (quasi relativistica) della natura umana, evidente soprattutto nell'analisi dell'interrelazione che determina le funzioni fondamentali del comportamento umano (pensiero, sentimento, intuizione, sensazione). A partire da quest'opera, tutta la speculazione di J. converge progressivamente verso la ricerca di un modello di terapia e di interpretazione generale della psiche in cui centrale diventa l'idea della personalità come totalità dinamica da realizzare attraverso il processo di individuazione. Approfondendo questi aspetti, la tarda produzione junghiana si arricchisce di nuove concettualizzazioni. Fondamentale è la saldatura tra psicologia, religione e mitologia. Opere come Aiòn: ricerche sulla storia del simbolo (1951) e Mysterium coniunctionis (significativamente scritto a ottant'anni, nel 1956) segnano una sintesi di tutto l'itinerario intellettuale di J. Lo studio di una sterminata quantità di materiale simbolico e mitologico, analizzato con erudizione e illustrato attraverso ardite ma spesso illuminanti ipotesi interpretative, fornisce a J. un esempio diretto della trascinante potenza creativa della psiche. Emerge anzitutto l'ipotesi dell'esistenza di altri archetipi, di ulteriori coppie di opposti al fondo della personalità. Particolare interesse assumono il concetto di Persona e le coppie Io-Ombra e Animus-Anima. La Persona (nel senso latino di maschera) va intesa come traccia dell'inconscio collettivo in ogni individuo: costituisce propriamente la maschera sociale e rappresenta il tentativo di compromesso tra individuo e società. Il contrasto Io-Ombra va invece letto come antagonismo radicale tra l'esigenza normale di adattamento (l'Io) e la presenza inquietante di un lato negativo; la somma delle caratteristiche nascoste, sfavorevoli dell'inconscio personale (l'Ombra appunto). E così ancora la coppia Animus-Anima va intesa come esistenza di un'ambigua, irrisolta, inconscia parte maschile (l'Animus) nella psiche femminile, e di un'altrettanto inconscia e irrealizzata zona femminile (Anima) nella psiche maschile. Ma soprattutto l'ultimo J. avanza l'ipotesi, contemporaneamente euristica, interpretativa e clinica, di un centro ideale della coscienza, di un fenomeno complessivo della personalità capace di sintetizzare efficacemente i contrasti e le coppie di contrari che travagliano il cammino della soggettivazione: questo luogo centrale, chiamato emblematicamente Sé (Selbst), rappresenterebbe la sintesi ultima del processo di individuazione, il fine della terapia analitica e il compimento dello sviluppo psichico-simbolico del soggetto. Il Sé costituisce il principio di coesione di tutti i sistemi (o complessi) psichici del soggetto, l'integrazione dei contenuti inconsci nella coscienza, e dunque la zona d'equilibrio, la dimensione armonizzante della personalità. Il culmine della speculazione junghiana, arricchita dallo studio dei miti e dell'esperienza religiosa, propone una visione mobile e totalizzante del progetto esistenziale e psicologico del soggetto, in cui la perfezione del Sé possa avviare il superamento delle scissioni in un interminabile processo di mediazione.