Incesto

Incesto
Relazione sessuale tra persone unite da uno stretto vincolo di parentela. In una definizione più ampia, l'i. è un rapporto tra persone con legami formali o informali di parentela, considerati culturalmente come un ostacolo alle relazioni sessuali (ad esempio, vengono ritenute incestuose le relazioni sessuali tra patrigni e figliastri o tra fratellastri). L'universale proibizione dell'i., sostenuta anche da fattori biologici, è stata indagata in ambito antropologico e psicodinamico, pur non essendovi a tutt'oggi una teoria esaustiva sull'argomento. Da un punto di vista biologico, i gruppi che si accoppiano tra consanguinei rischiano di favorire l'espressione di geni recessivi letali o dannosi e, in generale, si rileva una popolazione meno sana in tali gruppi rispetto ad altri. Le teorie antropologiche sulla proibizione dell'i. fanno leva su quella che è considerata la prima regola di sopravvivenza per le comunità primitive: trovare all'esterno nemici o parenti. Come modalità per evitare uno stato di continua belligeranza dannoso alle varie comunità, venne utilizzato lo scambio delle donne: La proibizione dell'incesto non sarebbe dunque, in origine, una regola che vieta di sposare la madre, la sorella o la figlia, quanto invece una regola che obbliga a dare ad altri la madre, la sorella, la figlia (Lévi-Strauss, 1947). Altre teorie sostengono l'intervento di fattori che produrrebbero un'istintiva ripugnanza per i rapporti sessuali tra consanguinei, quali, ad esempio, una qualche sostanza in comune nel sangue (E. Durkheim). In Totem e Tabù (1912), Sigmund Freud sviluppò il mito di orda primitiva, in cui i giovani uccidono di comune accordo il patriarca del gruppo che aveva tenuto per sé tutte le donne della tribù. Il tabù dell'i. è sorto sia per liberarsi del senso di colpa dopo l'assassinio, sia per prevenire la ripetizione dell'atto. L'interdizione all'i. è, inoltre, il nucleo a partire dal quale si articolano il complesso edipico e la sua risoluzione: la prima scelta dell'oggetto sessuale da parte del bambino è incestuosa, mentre la strada verso la maturazione passa attraverso il liberarsi dall'attrazione dell'i. Dati epidemiologici esatti sull'incidenza dell'i. sono difficili da ottenere, a causa dei tentativi di copertura messi in atto dall'intera famiglia. L'i. si verifica più comunemente fra padri, patrigni, zii e fratelli più anziani e figlie o figliastre, nipoti e sorelle. L'incidenza più alta della scoperta di comportamenti incestuosi nelle famiglie con basso livello socioeconomico può essere spiegata con la maggiore possibilità di contatto di tali famiglie con assistenti sociali e personale sanitario; le famiglie economicamente più stabili tengono nascosto il problema. Il comportamento incestuoso è stato associato ad alcolismo, sovraffollamento, maggiore promiscuità fisica e isolamento rurale. Le caratteristiche più comuni dell'i. fra padre e figlia sono una madre passiva, inferma o in qualche modo assente, e una figlia che ne assume il ruolo nell'ambito familiare. Più forte è il tabù dell'i. fra madre e figlio. Quando si verifica tale comportamento, si è in un ambito di psicopatologia più grave di quella dei soggetti coinvolti nell'i. tra padre e figlia o tra fratelli. Alcune comunità possono tollerare maggiormente il comportamento incestuoso: in taluni casi, l'i. viene considerato una difesa volta a mantenere unita una famiglia disfunzionale. Poiché nella maggioranza dei casi l'i. si realizza fra padre e figlia minorenne si può considerare come una forma di maltrattamento infantile, di pedofilia o una variante dello stupro. Frequentemente, nel caso di i. padre-figlia, questi hanno avuto una stretta relazione affettiva durante l'infanzia: il comportamento incestuoso vero e proprio inizia, mediamente, intorno ai 10 anni di età. In seguito, prevalgono la confusione e l'angoscia che aumentano in adolescenza quando la figura maschile viene, in modo dolorosamente ambivalente, vissuta come genitore e partner sessuale. Problematiche più profonde e devastanti sono presenti nelle famiglie in cui si verifica l'i. omosessuale. In tali famiglie, l'assenza dei normali ruoli familiari e delle identità individuali si concretizza in una pressoché totale incapacità di proteggere i figli, i quali reagiscono con comportamenti autodistruttivi o propositi omicidi. L'i. in famiglia provoca una serie di sintomi fisici ed emotivi, quali dolori addominali, irritazioni genitali, disturbi da ansia di separazione, fobie, incubi e problemi scolastici.
Dal punto di vista legale, la ratio della punizione dell'i. sta nella sua particolare riprovevolezza morale (Antolisei). Nell'ambito dei delitti contro la morale familiare, la legge sull'i. prevede che chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un ascendente o con un affine in linea retta, ovvero una sorella o un fratello, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni. La pena è la reclusione da 2 a 8 anni nel caso di relazione incestuosa. Il pubblico scandalo che è richiesto per la punibilità dell'i. va ravvisato nella reazione morale della coscienza pubblica, accompagnata da senso di disgusto e sdegno contro il turpe fatto (Antolisei). Il pubblico scandalo può essere desunto dalla notorietà, dalla gravidanza e dalla filiazione incestuosa, ma anche dagli effetti materiali o da confessione. La pena prevista per tale reato con la L. 15 febbraio 1996, n. 66 c.p. sulle norme contro la violenza sessuale, è stata aumentata da 5 a 10 anni. Costituiscono, infatti, nell'ambito di tale legge, circostanze aggravanti, fra le altre, la violenza compiuta nei confronti di una persona che non abbia compiuto i 14 anni o i 16 anni, della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore (pena aumentata da 6 a 12 anni di reclusione). Il senso innovativo, importante, di tale modifica legislativa è, tuttavia, riconoscere l'i. come un reato contro la persona e non contro la morale, come nella precedente legislazione.