Identità

Identità
Nella Metafisica, Aristotele elenca differenti significati della nozione d'i.: 1) l'i. con se stessi, o i. numerica, che è alla base stessa di ogni ontologia: esserci significa, in qualche modo, possedere l'esistenza individuale; questo tipo di argomentazione sarà alla base dell'asserzione di Willard Van Orman Quine, no entity without identity (1981); 2) l'i. qualitativamente intesa, ossia l'i. tra cose che possiedono la stessa ousia (in greco, sostanza): secondo il principio d'i. degli indiscernibili di Gottfried Wilhelm Leibniz (nei nuovi saggi sull'intelletto umano, 1705), se due cose sono indiscernibili — dove essere indiscernibile rispetto ad un altro ente significa essere conosciuto in quanto avente le sue stesse proprietà e quelle soltanto — allora sono anche identiche, giacché: nella natura non possono esistere due cose singolari differenti unicamente per numero; 3) l'i. di specie, la quale raggruppa sotto un solo predicato/classe un insieme d'individui appartenenti — designate alcune caratteristiche come peculiari — alla stessa categoria.
1) Identità personale. Senso della propria continuità nel tempo e nello spazio, e quindi dell'essere distinto dall'altro da sé. Nell'empirismo anglosassone (Locke e Hume) l'i. è un meccanismo psicologico costruito non su un'entità sostanziale (l'Io dei razionalisti o degli idealisti), ma sulla correlazione che la memoria stabilisce tra le impressioni sensoriali, e tra il presente e il passato. Secondo tale concezione l'i. sarebbe dunque una costruzione della memoria, nozione fatta propria poi dalla psicologia: l'i. e le crisi di i. si riferiscono qui alla robustezza o alla debolezza di questa costruzione. L'i. conscia è definita come la riflessione che il soggetto compie sulla propria i. personale, di cui sarebbe una sorta di meta-rappresentazione consapevole. Nella psicologia dell'età evolutiva (Erikson) lo sviluppo della personalità individuale va di pari passo con la crescita del senso di i., come anche molti problemi di personalità (ad esempio, i deliri schizofrenici). L'identificazione con le figure genitoriali, e con l'autorità in generale, offre un modello per la costruzione della propria i. L'i. inconscia, al contrario di quella conscia, non esplicita a livello consapevole la distinzione psichica tra il sé e l'oggetto esterno.
2) Teoria dell'identità. In filosofia della mente, per teoria dell'i. s'intende un'ipotesi circa la relazione tra stato mentale e suo correlato fisiologico. A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso (con la scuola australiana di Ullin Place, Jack Smart e David Armstrong) alcuni studiosi iniziarono a parlare di una teoria dell'i. secondo la quale il mentale avrebbe dovuto trovarsi in una relazione, appunto, d'i. con il fisico. Tale dottrina per prima s'incaricava di dar voce ad un'idea dilagante nei confronti e contro la teoria del dualismo. Per dualismo s'intende una teoria del rapporto mente-corpo secondo cui la mente e il corpo devono essere considerate entità divergenti nella loro essenza, nei modi d'azione, nelle leggi cui sottostanno, nel tipo di causazione e finanche nel modo in cui devono essere studiate. Un dualismo di questo tipo (il cui padre fondatore è René Descartes: De Homine, 1662) viene chiamato dualismo delle sostanze in quanto, appunto, assume che mente e corpo siano due sostanze a sé stanti. La teoria dell'i. originaria postula una strettissima corrispondenza reciproca tra tipi di eventi neurali e tipi di eventi mentali. Nel corso degli anni Sessanta Hilary Putnam, al fine di contrastare tale teoria dell'i., chiamata anche i. di tipo (type identity), discusse invece la possibilità di una differente realizzazione di uno stesso tipo mentale in molteplici e totalmente differenti strutture, organiche o meno: di qui, la tesi della realizzabilità multipla del mentale. Jerry Fodor, allievo di Putnam, formulò una teoria dell'i. che non fosse in contrasto con la realizzabilità multipla: la teoria dell'i. delle occorrenze (o token identity), secondo la quale s'intende che ogni occorrenza di un certo tipo di stato mentale è identica ad un evento neurale e questo sarà diverso la prossima volta che si avrà un'occorrenza diversa dello stesso stato mentale. Siamo di fronte ad una teoria indebolita dell'i.: non si richiede, infatti, che classi di fenomeni distinti siano da porre in una relazione d'i., ma piuttosto che il medesimo stato mentale, nelle sue varie manifestazioni, possa essere identico a differenti configurazioni cerebrali. In altre parole, un tipo psicologico può ammettere di essere realizzato attraverso differenti configurazioni fisiche, ma l'occorrenza singola di tale tipo coincide necessariamente con la realizzazione attuale di quell'evento.
3) Identità di specie. Secondo un'interpretazione evoluzionistica, sostituitasi a partire dalla metà dell'Ottocento alla precedente impostazione classificatoria su base descrittiva (sulla scia dei celebri lavori di Linneo, XVIII secolo), l'i. di una specie è data dalla comune discendenza (comunanza genetica) e non dalla somiglianza formale. Si tratta di una definizione biologica e non più tipologica. Secondo Ernst Mayr (1969), una specie corrisponde ad un gruppo di viventi riproduttivamente isolato da altri gruppi e i cui membri possono tra loro riprodursi: la specie vista come comunanza riproduttiva.