Identificazione proiettiva

Identificazione proiettiva
Concetto usato da Melanie Klein per intendere la proiezione di parti del Sé nel corpo materno per poterlo possedere, controllare ed eventualmente danneggiare, attuando così il processo identificativo con l'oggetto, non più sentito come separato. Svariati sono gli scopi dell'i.p.: vanno dalla scissione, separazione di parti indesiderate di sé causa di dolore e angoscia, all'espulsione e collocazione in un altro individuo indotto a sperimentarne la sofferenza; dal controllo dell'altro, da cui attraverso la proiezione di sé non si può essere separati, all'impossessarsi delle sue capacità, fino alla sua distruzione. Nel 1957, con Invidia e gratitudine, la Klein individua le basi dell'eccessiva intensità dell'i.p. nell'invidia, causa dello svuotamento del soggetto e della grave confusione tra il Sé e l'oggetto. Il fatto che il bambino sviluppi la fantasia di entrare nel corpo della madre, ponendosi in una relazione oggettuale di tipo aggressivo — secondo la prima formulazione della Klein (1932) — non vuol però dire che i meccanismi espulsivi e proiettivi riguardino esclusivamente le sue parti cattive: essenziale è, infatti, la proiezione delle parti buone affinché nel lattante si sviluppi la capacità di creare relazioni oggettuali positive oltre l'integrazione dell'Io. La Klein (1955) utilizza il concetto di i.p. per spiegare il funzionamento dello sviluppo mentale normale, sottolineandone infatti la rilevanza come primo momento per differenziarsi e per rapportarsi con la madre e, perciò, con il mondo esterno. È Wilfred Bion, però, che scopre e approfondisce la funzione comunicativa rivestita dall'i.p.: la madre riesce a capire parte di quanto suo figlio le comunica, provando lui stessa le emozioni sperimentate dal bambino e, attraverso l'attribuzione di un nome alle sue angosce, può aiutarlo a non trasformare l'angoscia di morire in una terrificante angoscia senza nome. In tal senso, il concetto può essere inteso come una modalità evacuativa violenta di uno stato mentale particolarmente doloroso all'interno di un altro oggetto, finalizzata al controllo e al possesso, oltre che alla comunicazione inconscia del suddetto stato. Tale termine è essenziale nell'opera di Bion, soprattutto perché permette di cogliere in profondità la dinamica del transfert e del controtransfert: Nella relazione analitica l'identificazione proiettiva diventa particolarmente significativa perché induce nell'analista un vissuto emotivo che il paziente stesso non conosce e non può esprimere verbalmente. Assume quindi particolare rilievo l'attenzione dell'analista al proprio controtransfert: l'i.p. e la risposta a essa svolgono un ruolo fondamentale nella formazione del pensiero e nello svolgersi del processo psicoanalitico (1988).