Gioco

Gioco
Indica attività, comportamenti o situazioni incentrate sullo svago individuale o di gruppo. Ha come fine piacere, divertimento e gratificazione. Sul g. si sono soffermate l'etologia, la filosofia, la pedagogia, la psicologia, enucleando teorie di vario tipo. Ma è la psicologia che, più di ogni altra disciplina, ha visto nel g. un elemento imprescindibile per lo sviluppo della personalità del bambino.
1) Teorie sul gioco. Jean Piaget sostiene che nel graduale adattamento del bambino all'ambiente in cui si trova a vivere, il g. avrebbe la funzione di far corrispondere agli schemi cognitivi e motori a mano a mano acquisiti, oggetti nuovi. Ciò avrebbe lo scopo di mettere alla prova ed esercitare le abilità acquisite. Piaget si sofferma, in particolare, sul cambiamento delle caratteristiche del g. nelle varie fasi di vita del bambino. Denomina g. psicomotorio quello che si sviluppa e si protrae nell'arco di tempo che va dai primi mesi di vita ai 2 anni; g. simbolico quello che si colloca fra i 2 e i 6 anni ed è caratterizzato dalla simbolizzazione di oggetti, situazioni o persone; verso i 7-8 anni di età si passa al g. sociale, che implica la collaborazione con altri bambini e il rispetto e l'accettazione di regole condivise. Sigmund Freud e Melanie Klein ravvisano nel g. significati molto complessi che mutano negli stadi orale, anale e fallico. Karl Groos avanza invece l'ipotesi che il g. costituisca un pre-esercizio di attività tipiche della vita adulta; la bambina che gioca con la bambola si preparerebbe, ad esempio, all'attività adulta di madre. Lev Vygotskij vede invece nel g. un insieme di relazioni tra realtà e irrealtà, estro e regole, imitazione e ricerca del nuovo, che contribuiscono, oltre allo sviluppo cognitivo del bambino, anche a quello emotivo.
2) Il gioco e la vita emotiva. La psicologia dinamica ha sottolineato l'importante relazione fra attività ludica e sviluppo affettivo ed emotivo dell'individuo. Secondo Freud il timore che un bambino prova verso determinate cose può venire esorcizzato o sublimato proprio attraverso la loro reiterata rappresentazione ludica. Anche impulsi, desideri o ostilità che non possono avere realizzazione sul piano concreto, possono riversarsi su oggetti-simbolo. D.W. Winnicott parla in proposito di oggetti transizionali facendo riferimento a tutte quelle cose (bambole, coperte etc.), che il bambino vuole avere a tutti i costi con sé, ricavandone senso di sicurezza e di protezione. Anche Kurt. Lewin sottolinea in tal senso la natura di attività sostitutiva del g. e la straordinaria capacità del bambino di passare, attraverso il g., dal piano della realtà a quello immaginario.
3) Il gioco come diagnosi e terapia. Il g. è stato utilizzato dalla pedagogia come metodo per facilitare l'apprendimento di nozioni piuttosto ostiche per il bambino e per svilupparne la personalità nel modo migliore.