Disturbo evitante di personalità

Disturbo evitante di personalità
Compare per la prima volta nel DSM-III, scorporato dal disturbo schizoide, seguendo le evidenze messe in luce da Millon, che lo ha descritto come caratterizzato da un coinvolgimento emotivo e dalla disturbante incapacità di mettersi adeguatamente in rapporto con gli altri. L'isolamento sociale sarebbe, quindi, attivo ed egodistonico rispetto a quello passivo ed egosintonico del disturbo schizoide. Il DSM-IV-R descrive il disturbo come un quadro pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio negativo, che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti. L'individuo eviterebbe quindi attività lavorative che implichino un significativo contatto interpersonale, per timore di essere criticato, disapprovato o rifiutato; è riluttante nell'entrare in relazione con persone, a meno che non sia certo di piacere; è inibito nelle relazioni intime per paura di essere umiliato o ridicolizzato; si preoccupa di essere criticato o rifiutato in situazioni sociali; è inibito in situazioni interpersonali nuove per sentimenti di inadeguatezza; si vede come socialmente inetto, personalmente non attraente, o inferiore agli altri; è insolitamente riluttante ad assumere rischi personali o ad ingaggiarsi in qualsiasi nuova attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante. La prevalenza nella popolazione generale è tra lo 0,5% e l'1%, con tendenza ad aggregarsi nelle famiglie di pazienti ansiosi. Spesso inizia nell'infanzia o nella fanciullezza e si ritrova, a volte, associato a fobia sociale e ad attacchi di panico. Storicamente, le descrizioni sono di difficile estrapolazione dal quadro schizoide, nel quale comunque si è cercato di giungere a differenziazioni. Kretschmer ha identificato due poli della sensibilità nel contesto schizoide: l'astenico e l'iperstenico. A quest'ultimo corrisponderebbe la modalità evitante caratterizzata da nervosismo, timidezza, eccitabilità e sentimenti di inadeguatezza. Klein, sempre nel contesto schizoide, ha diversificato un tipo caratterizzato da ansia anticipatoria e bassa stima di sé, che impedirebbero il realizzarsi di relazioni sociali soddisfacenti. Dal punto di vista biologico, il disturbo rappresenterebbe l'espressione comportamentale della marcata tendenza all'evitamento degli stimoli dolorosi attraverso una serie di meccanismi di inibizione. Le proiezioni serotoninergiche dei nuclei del rafe alla substantia nigra operano in senso inibitorio e paiono essenziali nell'instaurarsi dei comportamenti di inibizione appresi nelle condizioni di frustrazione e/o dolore. L'evitamento delle esperienze nocive frustranti sarebbe correlatDisturbo evitante di personalità
Compare per la prima volta nel DSM-III, scorporato dal disturbo schizoide, seguendo le evidenze messe in luce da Millon, che lo ha descritto come caratterizzato da un coinvolgimento emotivo e dalla disturbante incapacità di mettersi adeguatamente in rapporto con gli altri. L'isolamento sociale sarebbe, quindi, attivo ed egodistonico rispetto a quello passivo ed egosintonico del disturbo schizoide. Il DSM-IV-R descrive il disturbo come un quadro pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio negativo, che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti. L'individuo eviterebbe quindi attività lavorative che implichino un significativo contatto interpersonale, per timore di essere criticato, disapprovato o rifiutato; è riluttante nell'entrare in relazione con persone, a meno che non sia certo di piacere; è inibito nelle relazioni intime per paura di essere umiliato o ridicolizzato; si preoccupa di essere criticato o rifiutato in situazioni sociali; è inibito in situazioni interpersonali nuove per sentimenti di inadeguatezza; si vede come socialmente inetto, personalmente non attraente, o inferiore agli altri; è insolitamente riluttante ad assumere rischi personali o ad ingaggiarsi in qualsiasi nuova attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante. La prevalenza nella popolazione generale è tra lo 0,5% e l'1%, con tendenza ad aggregarsi nelle famiglie di pazienti ansiosi. Spesso inizia nell'infanzia o nella fanciullezza e si ritrova, a volte, associato a fobia sociale e ad attacchi di panico. Storicamente, le descrizioni sono di difficile estrapolazione dal quadro schizoide, nel quale comunque si è cercato di giungere a differenziazioni. Kretschmer ha identificato due poli della sensibilità nel contesto schizoide: l'astenico e l'iperstenico. A quest'ultimo corrisponderebbe la modalità evitante caratterizzata da nervosismo, timidezza, eccitabilità e sentimenti di inadeguatezza. Klein, sempre nel contesto schizoide, ha diversificato un tipo caratterizzato da ansia anticipatoria e bassa stima di sé, che impedirebbero il realizzarsi di relazioni sociali soddisfacenti. Dal punto di vista biologico, il disturbo rappresenterebbe l'espressione comportamentale della marcata tendenza all'evitamento degli stimoli dolorosi attraverso una serie di meccanismi di inibizione. Le proiezioni serotoninergiche dei nuclei del rafe alla substantia nigra operano in senso inibitorio e paiono essenziali nell'instaurarsi dei comportamenti di inibizione appresi nelle condizioni di frustrazione e/o dolore. L'evitamento delle esperienze nocive frustranti sarebbe correlato a un'intensa attività serotoninergica di base. Dal punto di vista psicodinamico, la vergogna sarebbe l'esperienza affettiva centrale, correlata a una valutazione del Sé come inadeguato, non corrispondente a uno standard interno. Il Sé può essere percepito come debole, incapace di competere, fisicamente o mentalmente difettoso, disordinato e disgustoso, incapace di controllare le funzioni corporee ed esibizionista. Sia la terapia supportivo-espressiva individuale sia quella di gruppo possono essere molto efficaci. Farmacologicamente, alcuni pazienti sono stati trattati con successo con fenelzina, molecola che modulerebbe i rapporti tra sistema dopaminergico e serotoninergico.
o a un'intensa attività serotoninergica di base. Dal punto di vista psicodinamico, la vergogna sarebbe l'esperienza affettiva centrale, correlata a una valutazione del Sé come inadeguato, non corrispondente a uno standard interno. Il Sé può essere percepito come debole, incapace di competere, fisicamente o mentalmente difettoso, disordinato e disgustoso, incapace di controllare le funzioni corporee ed esibizionista. Sia la terapia supportivo-espressiva individuale sia quella di gruppo possono essere molto efficaci. Farmacologicamente, alcuni pazienti sono stati trattati con successo con fenelzina, molecola che modulerebbe i rapporti tra sistema dopaminergico e serotoninergico.