Coaching

Coaching
Attività formativa, dai contenuti psico-sociali, rivolta al singolo, non al gruppo, nella forma della Ricerca-Azione, o meglio dell'Action Learning, se è vero che l'attività principale del c. è insegnare ad apprendere. La storia di questo tipo di consultazione è tortuosa e affascinante allo stesso tempo. Il termine c. compare per la prima volta all'interno della letteratura psicometrica negli anni Settanta, quando ci si interrogava sulla rilevazione della prestazione a test specifici e sulle modalità per migliorare tale prestazione. Il c. era inteso, dunque, come una sorta di allenamento individuale alla prestazione richiesta dal test, tanto cognitiva quanto fisica. A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta la psicologia del lavoro e delle organizzazioni comincia ad interrogarsi sul c. come variabile interveniente sulla prestazione non solo a test dalle finalità meramente conoscitive o di ricerca ma a varie tecniche della selezione lavorativa, come, per esempio, il role-playing o l'in-basket. Negli anni la terminologia si affina, distinguendo definitivamente pratica (allenarsi ad una prova cui si verrà sottoposti in un programma di selezione), tutoring (ricevere delle vere e proprie istruzioni relative ai contenuti delle prove che si dovranno affrontare) e c. In questo contesto il c. si riferisce ad una pratica più ampia, con un istruttore che ha il compito non solo di migliorare le conoscenze del candidato in merito ai contenuti delle prove ma anche di potenziarne la motivazione e di svilupparne le competenze. È sicuramente questo ancoraggio allo sviluppo personale il cuore di ogni attività di c., sebbene nel tempo simile consultazione psicologica si sia distinta in base ai metodi e al target cui viene offerta. Una prima tipologia di c. è sicuramente il placement coaching, un'attività fornita nel quadro della psicologia delle risorse umane, votata a correggere e sorreggere i soggetti in cerca di occupazione, potenziandone l'impression management e le performance nelle prove situazionali. A differenza del job assessor, presente nei centri per l'impiego e nei servizi di orientamento, il placement coach non si limita a valutare le competenze dei soggetti ma piuttosto le potenzia. Nel tempo il placement coaching passa da una filosofia colmativa, secondo cui scopo dell'intervento era quello di recuperare, attraverso un allenamento mirato, il deficit in una prestazione data, ad una logica di potenziamento individuale, di empowerment, a prescindere dai livelli iniziali di competenza posseduti dai soggetti clienti. Parallelamente al placement coaching si sviluppa, alla fine degli anni Ottanta, negli Stati Uniti, il job coaching; spesso fornito dai servizi sociali delle comunità, è una sorta di allenamento dei lavoratori appartenenti a fasce deboli, quali per esempio le persone con disabilità, sia fisica sia intellettiva, finalizzato alla riuscita dell'inserimento lavorativo. Sempre in questi anni si viene a delineare l'attività di c. così come viene intesa oggigiorno: chiamata inizialmente personal coaching, consiste in una consultazione psicologica che mira allo sviluppo della persona e delle sue potenzialità, al di là del contesto lavorativo. L'ingrediente base del personal coaching è la psicoterapia, in modo particolare la REBT (Rational Emotive Behavior Therapy), di cui è stata, a dire il vero, anche tentata l'implementazione al contesto organizzativo. Il risultato del coaching REBT è né più né meno che una forma di ri-orientamento sul modello del Career Transition Inventory (CTI). Con la nascita del personal coaching, tale consultazione si sdoppia definitivamente: da un lato si sviluppa un tipo di c. inteso come formazione organizzativa, il cui committente è l'organizzazione e le cui finalità riguardano lo sviluppo individuale teso e funzionale allo sviluppo organizzativo; dall'altro lato si sviluppa un c. inteso come consultazione psicologica breve finalizzata all'empowerment, il cui committente è ovviamente il singolo privato, che chiede sostegno per problematiche inerenti le performance lavorative, generalmente trattate in una prospettiva olistica, che tiene conto della persona nel suo intero raggio d'azione e non solo degli aspetti lavorativi. Per quanto concerne invece il coaching organizzativo, negli anni allarga i soggetti su cui intervenire. Inizialmente si parlava di executive coaching perché questo tipo di formazione, che poteva rappresentare un importante investimento in termini sia di costi sia di tempi sottratti all'attività lavorativa in senso stretto, veniva offerto solo ai più alti livelli della piramide organizzativa. Col tempo, il c. viene prestato da figure interne all'organizzazione e non solo da consulenti esterni; e, com'è ovvio che sia, le organizzazioni ne capitalizzano il ruolo, offrendo questo tipo di formazione anche ai livelli più bassi dell'organigramma: assume il nome di career coaching, inteso come potenziamento delle risorse umane a tutti i livelli, indipendentemente dalla qualità della prestazione, e dalla posizione nell'organigramma. In quest'ottica, e in una prospettiva sempre più all'insegna dello sviluppo e sempre meno all'insegna di un intervento meramente colmativo rispetto a deficit da recuperare, si sviluppano anche programmi di star coaching: formazione rivolta ai cosiddetti superlavoratori; ascrivibile ai modelli del management by objectives, permette di accelerare lo sviluppo dell'impresa che in modo un po' miope abbia per anni concentrato i propri sforzi accontentandosi unicamente di colmare i deficit di prestazione dei lavoratori substandard.
A partire dalla fine degli anni Novanta c'è chi comincia a parlare di corporate coaching, evidenziando che è l'intera organizzazione a beneficiare di questa consultazione. Inoltre, a mano a mano che viene riconosciuto dai contesti organizzativi come utile consultazione, il c. affina le proprie tecniche e si sottospecifica, a seconda della domanda puntuale che viene dall'organizzazione committente; per esempio: nasce alla fine degli anni Novanta il coaching cognitivo, per intervenire nel vasto mondo dell'Information Technology Management e per contenere quei fenomeni, come il technostress, che rischiano di rallentare la produzione. Per quanto concerne il personal coaching, è da sottolineare che, a differenza della consultazione formativa fornita all'organizzazione, ha come committente il singolo e si configura come un intervento continuativo, non puntiforme (come spesso accade nel corporate coaching), sebbene sia ovviamente ascrivibile all'interno delle consultazioni psicologiche brevi.