Bion, Wilfred

Bion, Wilfred
Psicoanalista inglese (Mathura, India, 1897 - Oxford, 1979). Nella sua opera gli elementi concettuali della psicoanalisi classica vengono curvati in direzione di un teoria generale tra le più innovative sull'origine del pensiero e dei disturbi psicotici. Lo studio dei meccanismi di insorgenza delle psicosi (schizofrenia, in primis) costituisce la base clinica da cui prende inizio la riflessione di B., esposta principalmente in Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico (1967). Sulla via indicata dalla Klein, B. ritiene che sin dalla nascita il bambino sia minacciato dall'assenza di oggetto, in particolare dalla mancanza del seno materno, cioè simbolicamente dalla privazione del nutrimento: il neonato, come già per la Klein, vive una strutturale angoscia di morte. Le prime esperienze sono pertanto connesse a questo terrore della mancanza dell'oggetto-seno, da cui derivano le frustrazioni, i pianti, le proiezioni immaginarie angosciose che costellano la vita affettiva del bambino. La madre, secondo B., deve assolvere ad una funzione di contenitore, non limitandosi ad un normale accudimento ma accogliendo le sensazioni negative cui è esposto il bambino. Attraverso un'attività che B. chiama rverie e una funzione definita alfa, la madre deve poter restituire al bambino come comprensibili gli elementi negativi (sensazioni di morte e di perdita, frammenti affettivi dolorosi) da cui egli si ritrae e che B. definisce elementi beta. Solo attraverso la funzione di contenitore assolta dall'Altro materno, il bambino apprende a convivere con l'assenza e frustrazione dei bisogni, col terrore della mancanza del seno. Può così sviluppare una propria funzione alfa, cioè una capacità di simbolizzare il negativo, elaborare il lutto, creare relazioni di senso tra elementi eterogenei. Su questa linea non solo lo sviluppo emotivo ma anche la genesi del pensiero implicano che la funzione alfa, grazie alle cure materne, si sviluppi sino a raggiungere la capacità di trasformare simbolicamente gli elementi beta, cioè di ricostruirli cognitivamente superando la frustrazione originaria. Se questo processo fondamentale del pensiero del bambino non si realizza, perché la madre non ha assolto alla funzione di rverie nei confronti delle proiezioni persecutorie-angosciose del piccolo, cioè non ha saputo rispondere adeguatamente al suo stato di panico, se quindi la funzione alfa del bambino non è stata stimolata e fallisce, ecco innescarsi il disturbo strutturale del pensiero, lo scatenamento psicotico. Il bambino che non è in grado di assorbire gli elementi beta, che non riesce ad elaborarli (o a digerirli, dice B.) li espellerà sotto forma di allucinazioni, di oggetti bizzarri, paurosi, ossessivi, gli stessi che più tardi, da adulto, popoleranno il suo delirio. La novità dell'impostazione di B. è l'idea della psicosi come fallimento della funzione simbolica della mente: si tratta propriamente di una catastrofe del pensiero, un cedimento della capacità di creare relazioni e nessi tra elementi affettivi, più che di un esito di articolate dinamiche inconsce come riteneva la psicoanalisi classica. La terapia, conseguentemente, si indirizzerà verso una sorta di riparazione di questa alterazione: sostituzione della figura materna, ristrutturazione della funzione alfa, identificazione con il paziente, ricomposizione della soggettività, oltrepassamento delle allucinosi che arrestano lo sviluppo mentale.