Angoscia

Angoscia
Il concetto di a. comporta alcune problematiche di valutazione, specie nei confronti del termine ansia al quale viene spesso assimilato. L'a. può definirsi uno stato di sofferenza psichica e fisica caratterizzato da un timore diffuso, da vissuti di insicurezza e di disgrazia imminente, accompagnati da sensazioni fisiche di costrizione toracica e altre manifestazioni neurovegetative, biochimiche, endocrinologiche e comportamentali che si traducono in un'accelerazione della frequenza cardiaca, in disturbi vasomotori, in disturbi respiratori, in modifiche del tono muscolare e altri ancora. Già i latini avevano operato una distinzione nella definizione dell'a.: tale termine può essere, infatti, tradotto anxietas, sollicitudo e angor. Da una parte, con i termini anxietas e sollicitudo vengono sottolineate le tendenze presenti nell'uomo verso la paura dell'ignoto, l'inquietudine, la preoccupazione, ma anche la tendenza alla cura meticolosa, al pensiero ossessivo. Dall'altra, il sostantivo angor indica la sensazione fisica di costrizione, di stringimento, di pena, in accordo con la derivazione greca del verbo anko (stringere). La concettualizzazione del termine a. non può prescindere, inoltre, dall'uso che fece Freud del termine Angst in diversi contesti. In quella che viene considerata la teoria psicoanalitica definitiva dell'a., l'autore distingue un'a. segnale (Signalangst), meccanismo di allarme che avverte l'Io di una minaccia che sovrasta il suo equilibrio, e un'a. primaria (primre Angst), che è l'emozione che accompagna la disintegrazione dell'Io. La funzione dell'a. segnale è quella di garantire che l'a. primaria non venga sperimentata, mettendo l'Io in grado di istituire misure difensive. In questo contesto, la parola tedesca Angst pare implicare inestricabilmente idee di a., paura e dolore. Freud distingue inoltre una nevrosi di a., che, a differenza della nevrosi da transfert, è una nevrosi attuale, ossia non determinata da conflitti dell'età infantile, ma da conflitti attuali riconducibili all'accumulo di tensione sessuale somatica che, per insufficienza di elaborazione psichica, non riesce a legarsi ad alcun contenuto rappresentativo e perciò si traduce nei sintomi somatici tipici dell'a. (dispnea, disturbi cardiaci, vertigini etc.). L'isteria di a., detta anche a. fobica, si differenzia dalla nevrosi d'a. in quanto non si traduce direttamente in sintomi somatici, ma viene sottoposta a un lavoro psichico che lega l'a. a luoghi o persone verso cui si prova fobia. L'a. di castrazione è, infine, il segnale vissuto come minaccia dal bambino per il proprio desiderio di possedere la madre e come segno di menomazione dalla bambina che, nella teoria freudiana, segna la fine e il superamento del complesso edipico. L'a. viene esplicitamente trattata in filosofia, in questo secolo, in rapporto con l'analisi della condizione dell'uomo nel mondo. Kierkegaard, nell'opera del 1844 Il concetto di Angoscia, la concepisce come il sentimento che prova l'uomo di fronte a un'esistenza che gli si presenta come possibilità indeterminata in cui si cela sempre l'alternativa della morte. L'a., secondo Heiddegger, è la situazione emotiva che permette all'uomo di rendersi conto dei due aspetti del suo essere-nel-mondo: l'esistenza inautentica, il modo di essere quotidiano, anonimo, fondato sui si dice; e l'esistenza autentica, basata invece sul riconoscimento della vera struttura dell'essere, che è il nulla o la sua forma ultima e radicale, la morte. L'a. non fornisce all'uomo un fine diverso da quelli che gli vengono proposti nella sua esistenza quotidiana: gli fa vedere soltanto l'insignificanza e la nullità di tali fini. In psichiatria, il termine viene utilizzato per indicare uno stato d'ansia con un'accentuata componente somatica: anche quando l'ansia assume livelli patologici viene considerata un sintomo, non una patologia a sé stante. Pertanto, può essere presente in diverse condizioni psicopatologiche; i quadri dove si riscontra maggiormente sono quelli della famiglia dei disturbi d'ansia o psicosomatici. Si parla invece di a. come segnale di vissuti di perdita (reale o fantasmatica di oggetti d'amore o dell'autostima) nell'ambito dei disturbi dell'umore e, in particolar modo, della depressione.