Unione doganale

Unione doganale artt. 23-29, 135 Trattato CE

Accordo in base al quale alcuni Stati si impegnano a sopprimere reciprocamente qualsiasi barriera doganale (v.) e ad adottare, nei confronti dei paesi terzi, una tariffa doganale comune (v. TDC).
Il concetto di unione doganale, di per sè, non è nato con il Trattato CE. Una sua definizione è contenuta nell’Accordo Generale sulle Tariffe doganali e sul Commercio (v. GATT) concluso a Ginevra il 30 ottobre 1947. Il contenuto dell’unione doganale prevista dal Trattato CE, comunque, corrisponde perfettamente alla definizione contenuta in tale accordo ed anzi la travalica sotto più aspetti.
In particolare, l’unione doganale implica:
— l’istituzione di una tariffa doganale comune applicabile ai confini del territorio doganale comunitario (v.);
— l’elaborazione e l’applicazione di una legislazione doganale comune;
— il divieto, negli scambi tra gli Stati membri dell’unione doganale, dei dazi doganali (v.) e delle tasse d’effetto equivalente (v.) e di qualsiasi regolamentazione restrittiva.
Di conseguenza si avrà:
— la sostituzione di un unico territorio doganale ai territori doganali degli Stati membri;
— la messa in comune dell’importo globale dei dazi doganali riscossi in virtù della tariffa doganale comune.
La libera circolazione all’interno dell’unione doganale si applica anche ai prodotti provenienti da paesi terzi, una volta che siano stati immessi in libera pratica (v.), cioè quando siano stati pagati i dazi della tariffa doganale comune al momento dell’entrata nella zona dell’unione doganale (v. Libera circolazione delle merci).
L’unione doganale rappresenta un livello intermedio di integrazione economica rispetto all’area di libero scambio (v.) e all’unione economica (v.).
Nel primo caso infatti l’obiettivo principale è quello di abolire i dazi doganali tra i paesi aderenti e permettere la libera importazione ed esportazione delle merci, senza tuttavia procedere alla fissazione di una tariffa doganale comune. Classici esempi di area di libero scambio sono rappresentati dalla CECA (v.) e dall’EFTA (v.).
L’unione economica rappresenta, invece, un passo avanti rispetto all’unione doganale in quanto, in aggiunta alle misure prima citate, è prevista anche la libera circolazione all’interno dei paesi membri delle persone, dei servizi e dei capitali: in pratica corrisponde a quello che nella terminologia comunitaria viene detto mercato unico (v.).
L’attuazione dell’unione doganale nella Comunità è avvenuta progressivamente e si è realizzata con anticipo di diciotto mesi rispetto ai tempi previsti dal trattato.
Il Trattato CE prevedeva, infatti, che i dazi doganali in vigore negli Stati membri fossero bloccati al 1° gennaio 1957 e poi progressivamente aboliti durante il periodo transitorio.
Poiché il processo di abolizione evolveva in modo soddisfacente, il Consiglio decise in due riprese (maggio 1960 e maggio 1962) di accelerare il ritmo delle riduzioni, il che ha consentito di abbreviare il periodo transitorio e di farlo terminare il 1° luglio 1968. La stessa cosa è avvenuta per le restrizioni quantitative (v.).
È da notare, però, che sono previste in materia di ostacoli tariffari, alcune clausole di salvaguardia (v.), cioè il trattato consente a taluni Stati di adottare delle misure che escludano dal mercato comune (v.) determinati prodotti. Tali misure possono essere prese dagli Stati temporaneamente e con l’autorizzazione della Commissione.
Per quanto riguarda il divieto di imporre dazi doganali e tasse d’effetto equivalente tra gli Stati membri, l’aspetto concernente i dazi doganali veri e propri ha perso qualsiasi rilievo a partire dalla fine del periodo transitorio. Più problematica è, invece, l’applicazione del correlativo divieto delle tasse d’effetto equivalente.
Tale divieto ha per oggetto, come è stato riconosciuto dalla Corte (sent. sul Pan pepato del 14-12-1962), qualsiasi diritto imposto unilateralmente, a prescindere dalla sua denominazione e struttura, che colpisce le merci in ragione del fatto che esse varcano la frontiera; ciò che rileva non è quindi lo scopo della tassa bensì il suo effetto sulle merci, equivalente a quello di un dazio doganale. Di conseguenza anche una tassa che non persegua scopi protezionistici ma, ad esempio, miri ad assicurare la protezione della salute pubblica o tenda ad evitare la dispersione del patrimonio artistico nazionale, ricade nell’ambito di tale divieto.
È da notare che tanto il divieto dei dazi doganali e tasse d’effetto equivalente quanto quello delle restrizioni quantitative e misure d’effetto equivalente, che insieme costituiscono i fondamenti della cosiddetta libera circolazione delle merci, si applicano sia ai prodotti originari degli Stati membri che ai prodotti provenienti dai paesi terzi che si trovano in libera pratica negli Stati membri. Tale assimilazione, però, non è totale, dal momento che i prodotti in libera pratica in uno Stato membro possono subire delle restrizioni all’importazione negli altri Stati membri, in conseguenza di misure di salvaguardia autorizzate dalla Commissione ai sensi dell’art. 134.
Infine per quanto riguarda gli scambi con i paesi non appartenenti all’unione doganale, gli artt. 18 e ss. (ora abrogati dal Trattato di Amsterdam) prevedevano la fissazione di una vera e propria tariffa doganale comune, sostitutiva delle preesistenti tariffe nazionali. Nel 1958, infatti, quando il Trattato CE entrò in vigore, le tariffe doganali degli Stati membri divergevano notevolmente tra di loro. L’art. 19 (ora abrogato) prevedeva che i dazi della tariffa doganale comune dovevano essere stabiliti al livello della media aritmetica dei dazi nazionali. Furono pertanto formulati elenchi di prodotti con l’indicazione della tariffa comune e il 1° gennaio 1961 gli Stati membri poterono effettuare il primo ravvicinamento dei dazi delle rispettive tariffe nazionali a quelli della TDC: quest’ultima è stata compiutamente applicata a partire dal 1° luglio 1968.