Tassa di effetto equivalente

Tassa di effetto equivalente artt. 23 e 25 Trattato CE

Il divieto di tenere in vita dazi doganali (v.) all’importazione ed all’esportazione e qualsiasi tassa di effetto equivalente negli scambi con i paesi membri, si pone alla base del regime della libera circolazione delle merci (v.) all’interno della Comunità, che peraltro si fonda “sopra un’unione doganale che si estende al complesso degli scambi di merci”.
Pur essendo formulati in termini assoluti, tali divieti sono stati oggetto di numerose interpretazioni da parte della Corte di Giustizia. Il problema non sorge per i dazi doganali, che per la loro natura si prestano poco a dubbi interpretativi. Infatti, i dazi doganali sono tributi dotati di una denominazione ed una modalità di riscossione particolare, tali da non poterli confondere con altri tipi di tassazione.
La nozione di tassa ad effetto equivalente è, invece, stata oggetto di una giurisprudenza molto ampia, che ne ha progressivamente delineato la portata. Scopo del divieto è quello di evitare che il beneficio derivante dalla soppressione dei dazi doganali possa venir meno con l’introduzione, da parte degli Stati membri, di imposizioni fiscali, che, seppure diverse nella denominazione e nella modalità di riscossione, avessero gli stessi effetti di un dazio doganale. Secondo la Corte di Giustizia, è tassa di effetto equivalente “qualsiasi onere pecuniario imposto unilateralmente, a prescindere dalla sua denominazione e dalla sua struttura, che colpisca le merci in ragione del fatto che esse varcano la frontiera, anche se non sia riscosso a profitto dello Stato” (sentenza CGCE 25 gennaio 1977, Bahuis, in causa 46/76).
Per ciò che riguarda il primo elemento, deve trattarsi di un onere pecuniario, per cui la prestazione chiesta al soggetto obbligato deve consistere in un versamento di denaro in favore del soggetto autorizzato per legge alla riscossione. Non rientrano nella definizione in esame altri tipi di prestazioni, anche se comportino delle spese indirette, in quanto potrebbero essere inserite nel novero delle >misure di effetto equivalente (v.).
A differenza delle imposizioni interne, di cui all’articolo 90 del Trattato CE, che colpiscono, almeno formalmente, tanto i prodotti esteri che quelli nazionali, le tasse di effetto equivalente sono oneri imposti alle sole merci che varchino la frontiera nazionale, in un senso o in un altro. Inoltre, deve trattarsi di un onere imposto unilateralmente dallo Stato membro, che importa od esporta, tranne che non sia previsto da norme comunitarie, come ad esempio nel caso degli importi compensativi monetari (v. ICM) riscossi in occasione degli scambi intracomunitari di prodotti agricoli.
Infine, sono esclusi dal novero delle tasse di effetto equivalente, quegli oneri pecuniari riscossi in occasione del passaggio, attraverso la frontiera di determinate merci, qualora costituiscano il corrispettivo di un servizio effettivamente prestato in occasione delle operazioni di importazione ed esportazione. In questo caso, è bene sottolineare che la Corte di Giustizia è stata spesso scettica sulla presenza di tali servizi, che, per essere considerati leciti, devono essere richiesti dall’interessato ed il valore dell’onere deve essere proporzionato a quello del servizio reso.