Ricorso per annullamento
Ricorso per annullamento artt. 230-231 Trattato CE; art. 33 Trattato CECA; art. 146 Trattato CEEA
Ha per oggetto gli atti delle istituzioni comunitarie che presentano delle irregolarità.
I soggetti legittimati a presentare ricorso sono suddivisi in ricorrenti privilegiati, i quali possono chiedere l’annullamento di qualsiasi atto, e ricorrenti non privilegiati che godono di un diritto di ricorso limitato.
Secondo la disciplina prevista dal trattato CECA sono considerati ricorrenti privilegiati solo gli Stati membri ed il Consiglio; per il trattato CE e CEEA sono gli Stati membri, il Consiglio e la Commissione, i quali possono chiedere l’annullamento di qualsiasi atto che non sia un parere (v.) o una raccomandazione (v.).
Secondo la formulazione dell’art. 230, tra i legittimati attivi e passivi del ricorso per annullamento sono ricompresi anche il Parlamento europeo e la BCE (v.) e la Corte dei Conti, limitatamente agli atti destinati a spiegare efficacia nei confronti dei terzi.
Sono ricorrenti non privilegiati le persone fisiche e giuridiche.
Il ricorso è sottoposto a un termine di decadenza di due mesi dalla pubblicazione o dalla notificazione dell’atto (in mancanza della notificazione il termine decorre dal giorno in cui il ricorrente ha avuto conoscenza dell’atto).
I vizi degli atti comunitari (v.) sono:
— incompetenza, che può essere relativa, quando l’istituzione che ha emanato l’atto non aveva il potere di emanarlo, o assoluta, quando l’atto non era di competenza comunitaria;
— violazione delle forme sostanziali, cioè mancanza di un requisito di forma essenziale per la formulazione dell’atto;
— violazione del trattato e delle norme giuridiche relative alla sua applicazione, che deve intendersi come un vizio residuale, a cui ricondurre la contrarietà dell’atto al trattato fuori dei due casi già esaminati.
Notiamo che questo vizio si estende, oltre che alle norme contenute nel trattato e negli atti derivati, anche ai principi generali di diritto comunitario (v.) non scritto e alle norme internazionali vincolanti per le Comunità;
— sviamento di potere ossia esercizio del potere per un fine diverso da quello per il quale tale facoltà era stata conferita.
Secondo quanto previsto dall’art. 242 del Trattato la Corte può sospendere, in via cautelare, l’atto impugnato. La domanda di sospensione deve essere presentata dopo aver avviato la procedura di ricorso o comunque contestualmente ad essa. La sospensione cautelare dell’atto è di pertinenza del Presidente della Corte dopo una breve udienza in cui sono sentite le parti e gli intervenuti.
Una volta constatata l’illegittimità dell’atto, la Corte ha il potere di annullarlo, con effetti erga omnes, a partire dal momento dell’emanazione (annullamento ex tunc).
L’annullamento dell’atto comporta, per l’istituzione che lo ha emanato, l’obbligo di ripristinare la situazione preesistente all’emanazione dell’atto, anche attraverso la revoca di atti collegati a quello annullato, nonchè l’obbligo di risarcire i danni provocati dal suo comportamento qualora questo sia anche illecito.
Ha per oggetto gli atti delle istituzioni comunitarie che presentano delle irregolarità.
I soggetti legittimati a presentare ricorso sono suddivisi in ricorrenti privilegiati, i quali possono chiedere l’annullamento di qualsiasi atto, e ricorrenti non privilegiati che godono di un diritto di ricorso limitato.
Secondo la disciplina prevista dal trattato CECA sono considerati ricorrenti privilegiati solo gli Stati membri ed il Consiglio; per il trattato CE e CEEA sono gli Stati membri, il Consiglio e la Commissione, i quali possono chiedere l’annullamento di qualsiasi atto che non sia un parere (v.) o una raccomandazione (v.).
Secondo la formulazione dell’art. 230, tra i legittimati attivi e passivi del ricorso per annullamento sono ricompresi anche il Parlamento europeo e la BCE (v.) e la Corte dei Conti, limitatamente agli atti destinati a spiegare efficacia nei confronti dei terzi.
Sono ricorrenti non privilegiati le persone fisiche e giuridiche.
Il ricorso è sottoposto a un termine di decadenza di due mesi dalla pubblicazione o dalla notificazione dell’atto (in mancanza della notificazione il termine decorre dal giorno in cui il ricorrente ha avuto conoscenza dell’atto).
I vizi degli atti comunitari (v.) sono:
— incompetenza, che può essere relativa, quando l’istituzione che ha emanato l’atto non aveva il potere di emanarlo, o assoluta, quando l’atto non era di competenza comunitaria;
— violazione delle forme sostanziali, cioè mancanza di un requisito di forma essenziale per la formulazione dell’atto;
— violazione del trattato e delle norme giuridiche relative alla sua applicazione, che deve intendersi come un vizio residuale, a cui ricondurre la contrarietà dell’atto al trattato fuori dei due casi già esaminati.
Notiamo che questo vizio si estende, oltre che alle norme contenute nel trattato e negli atti derivati, anche ai principi generali di diritto comunitario (v.) non scritto e alle norme internazionali vincolanti per le Comunità;
— sviamento di potere ossia esercizio del potere per un fine diverso da quello per il quale tale facoltà era stata conferita.
Secondo quanto previsto dall’art. 242 del Trattato la Corte può sospendere, in via cautelare, l’atto impugnato. La domanda di sospensione deve essere presentata dopo aver avviato la procedura di ricorso o comunque contestualmente ad essa. La sospensione cautelare dell’atto è di pertinenza del Presidente della Corte dopo una breve udienza in cui sono sentite le parti e gli intervenuti.
Una volta constatata l’illegittimità dell’atto, la Corte ha il potere di annullarlo, con effetti erga omnes, a partire dal momento dell’emanazione (annullamento ex tunc).
L’annullamento dell’atto comporta, per l’istituzione che lo ha emanato, l’obbligo di ripristinare la situazione preesistente all’emanazione dell’atto, anche attraverso la revoca di atti collegati a quello annullato, nonchè l’obbligo di risarcire i danni provocati dal suo comportamento qualora questo sia anche illecito.