Protocollo sulla politica sociale
Protocollo sulla politica sociale
Era un documento, introdotto dal Trattato di Maastricht e allegato al Trattato CE, che conteneva disposizioni in materia sociale.
Il protocollo (v.), che in realtà riscriveva gli articoli del trattato relativi alla politica sociale (v.), fu uno stratagemma che servì ad ampliare la dimensione sociale dell’azione comunitaria superando l’opposizione del Regno Unito; quest’ultimo Stato era (nel 1992) fermamente deciso a contrastare qualsiasi intervento comunitario in questo campo, per cui fu adottato questo protocollo addizionale sottoscritto soltanto dagli altri 11 Stati membri e, nel 1994, anche dai nuovi Stati entrati a far parte dell’Unione. Nel settore della politica sociale gli Stati firmatari si consideravano vincolati più da questa fonte che dagli articoli del Trattato CE.
L’accordo sulla politica sociale, allegato al Protocollo, ampliava gli obiettivi dell’intervento comunitario in ambito sociale inserendo l’informazione e la consultazione dei lavoratori, la parità uomo-donna, l’integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro: in questi settori, e soprattutto nell’ambito della fissazione delle condizioni di lavoro, il Consiglio deliberava a maggioranza qualificata degli Stati firmatari; in tutti gli altri settori (ad esempio le condizioni di lavoro dei cittadini dei paesi terzi) era invece richiesta l’unanimità. Restavano comunque esclusi il settore della retribuzione e del diritto sindacale.
L’accordo, inoltre, istituzionalizzava il dialogo fra le parti sociali (v.) a livello comunitario ed esaltava il ruolo affidato alla Commissione per quanto riguarda la cooperazione e la consultazione fra gli Stati membri.
L’accordo sulla politica sociale ha suscitato fin dall’inizio molte perplessità: a parte i dubbi di natura giuridica circa il carattere comunitario degli atti adottati per rendere effettivo l’accordo, va rilevato che la clausola derogatoria concessa alla Gran Bretagna (v. Opting out) poteva avere effetti distorsivi sulla concorrenza. Infatti, grazie ad una politica sociale meno severa, le imprese inglesi potevano produrre a costi più bassi rispetto a quelle del continente, dando vita al cd. dumping sociale (v.).
Soltanto con il Trattato di Amsterdam è stata superata questa anomalia, dal momento che il Regno Unito (nel frattempo passato da un governo conservatore ad uno laburista) ha aderito pienamente alle politiche comunitarie in questo settore. Nel procedere alla revisione dei trattati si è provveuto a trasfondere il contenuto dell’accordo sulla politica sociale nei nuovi articoli da 136 a 145 ed è stato contestualmente abrogato il Protocollo n. 14 allegato al Trattato sull’Unione che conteneva, appunto, le disposizioni adottate a Maastricht.
Era un documento, introdotto dal Trattato di Maastricht e allegato al Trattato CE, che conteneva disposizioni in materia sociale.
Il protocollo (v.), che in realtà riscriveva gli articoli del trattato relativi alla politica sociale (v.), fu uno stratagemma che servì ad ampliare la dimensione sociale dell’azione comunitaria superando l’opposizione del Regno Unito; quest’ultimo Stato era (nel 1992) fermamente deciso a contrastare qualsiasi intervento comunitario in questo campo, per cui fu adottato questo protocollo addizionale sottoscritto soltanto dagli altri 11 Stati membri e, nel 1994, anche dai nuovi Stati entrati a far parte dell’Unione. Nel settore della politica sociale gli Stati firmatari si consideravano vincolati più da questa fonte che dagli articoli del Trattato CE.
L’accordo sulla politica sociale, allegato al Protocollo, ampliava gli obiettivi dell’intervento comunitario in ambito sociale inserendo l’informazione e la consultazione dei lavoratori, la parità uomo-donna, l’integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro: in questi settori, e soprattutto nell’ambito della fissazione delle condizioni di lavoro, il Consiglio deliberava a maggioranza qualificata degli Stati firmatari; in tutti gli altri settori (ad esempio le condizioni di lavoro dei cittadini dei paesi terzi) era invece richiesta l’unanimità. Restavano comunque esclusi il settore della retribuzione e del diritto sindacale.
L’accordo, inoltre, istituzionalizzava il dialogo fra le parti sociali (v.) a livello comunitario ed esaltava il ruolo affidato alla Commissione per quanto riguarda la cooperazione e la consultazione fra gli Stati membri.
L’accordo sulla politica sociale ha suscitato fin dall’inizio molte perplessità: a parte i dubbi di natura giuridica circa il carattere comunitario degli atti adottati per rendere effettivo l’accordo, va rilevato che la clausola derogatoria concessa alla Gran Bretagna (v. Opting out) poteva avere effetti distorsivi sulla concorrenza. Infatti, grazie ad una politica sociale meno severa, le imprese inglesi potevano produrre a costi più bassi rispetto a quelle del continente, dando vita al cd. dumping sociale (v.).
Soltanto con il Trattato di Amsterdam è stata superata questa anomalia, dal momento che il Regno Unito (nel frattempo passato da un governo conservatore ad uno laburista) ha aderito pienamente alle politiche comunitarie in questo settore. Nel procedere alla revisione dei trattati si è provveuto a trasfondere il contenuto dell’accordo sulla politica sociale nei nuovi articoli da 136 a 145 ed è stato contestualmente abrogato il Protocollo n. 14 allegato al Trattato sull’Unione che conteneva, appunto, le disposizioni adottate a Maastricht.