Principio di sussidiarietà
Principio di sussidiarietà art. 5 Trattato CE
Principio, introdotto dal Trattato di Maastricht, in base al quale la Comunità interviene in quei settori che non sono di sua esclusiva competenza solo quando la sua azione è considerata più efficace di quella intrapresa a livello nazionale, regionale o locale, senza andare oltre quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi fissati (v. Principio di proporzionalità).
Tale principio non è nuovo nello storico dibattito sulla ripartizione delle competenze e sulla cooperazione tra le Comunità e gli Stati membri, poiché già nel giugno 1975 il Rapporto Tindemans (v.) affermava che l’Unione avrebbe avuto competenza, in applicazione del principio di sussidiarietà, solo in quelle materie che gli Stati membri non erano in grado di affrontare con efficienza, senza dar vita, quindi, ad una struttura organizzativa di tipo federale.
Congelato per alcuni anni, a causa della preoccupazione di alcuni Stati di vedere limitati i propri poteri, il dibattito sul principio di sussidiarietà trova nuova linfa negli anni ’80 in occasione della presentazione del progetto di trattato sull’Unione europea (v. >Progetto Spinelli).
Sebbene fallì, il Progetto rappresenta un importante passo verso la formalizzazione del principio in esame, avviata con l’Atto unico europeo del 1986 e realizzatasi poi con il Trattato di Maastricht. L’art. 174 del Trattato CE sancisce, infatti, che solo nell’ambito della >politica dell’ambiente (v.) “la Comunità agisce nella misura in cui gli obiettivi possono essere meglio realizzati a livello comunitario piuttosto che a livello dei singoli Stati membri”.
Con il Trattato di Maastricht, invece, l’intervento della Comunità in via sussidiaria si amplia notevolmente: nel Preambolo, infatti, gli Stati membri dichiarano di voler creare un’Unione sempre più stretta tra i popoli e di prendere decisioni il più vicine possibili ai cittadini, conformemente al principio di sussidiarietà.
L’intervento della Comunità in via sussidiaria, secondo quanto disposto dall’art. 5, è soggetto a diversi presupposti:
— in primo luogo esso è previsto solo per le materie che non rientrano nella competenza esclusiva della CE, quindi con riguardo alle nuove politiche create dal Trattato sull’Unione con lo scopo di promuovere la cooperazione tra gli Stati membri o se necessario per completare la loro azione;
— la Comunità potrà intervenire sempre che l’azione prevista abbia una dimensione europea. Altrimenti dovrà agire il singolo Stato o un gruppo di Stati interessati;
— vi dovrà essere la presunzione dell’insufficienza degli Stati a risolvere lo specifico problema;
— da ultimo anche la presunzione dell’esigenza dell’intervento comunitario per una migliore soluzione dello stesso.
L’intervento della Comunità, inoltre, in applicazione del principio di proporzionalità, non deve andare “al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato”.
Il principio di sussidiarietà può pertanto essere visto come un elemento regolatore della competenza comunitaria: in tal senso esso assume, a ben vedere, una portata ambivalente.
Da un lato, infatti, è volto a salvaguardare l’ambito di competenza statale contro ogni ingerenza comunitaria che non sia necessaria: dall’altro tuttavia, si pone come un principio che giustifica l’intervento della Comunità anche in aree sino ad oggi riservate alla competenza degli Stati membri.
D’altro canto l’ambivalenza del principio in esame è evidente anche nelle espressioni usate dai capi di Stato e di governo nel Consiglio europeo di Edimburgo del dicembre 1992 laddove si poneva in evidenza che: “La sussidiarietà è un concetto dinamico che dovrebbe essere applicato sulla scorta degli obiettivi enunciati dal trattato. Esso consente di estendere le azioni della Comunità quando lo richiedono le circostanze e, viceversa, di restringerle o di interromperle quando esse non sono più giustificate”.
Le conclusioni del Consiglio europeo di Edimburgo sono state riprese e completate dall’Accordo interistituzionale tra Parlamento Europeo, Consiglio e Commissione relativo alle procedure per l’attuazione del principio di sussidiarietà, siglato a Lussemburgo il 25-26 ottobre 1993.
In particolare il documento si sofferma sulla necessità che le tre istituzioni, nell’esercizio delle proprie competenze, tengano conto del principio di sussidiarietà e ne giustifichino il rispetto: la Commissione nell’esercizio del suo diritto d’iniziativa (v. Iniziativa legislativa), dando giustificazione di ogni sua proposta; il Consiglio, invece, deve accogliere le richieste di ogni Stato membro che esiga l’esame di questioni che pongono problemi di sussidiarietà.
Il rispetto del principio di sussidiarietà è, inoltre, sottoposto ad un controllo effettuato nell’ambito delle procedure comunitarie normali, conformemente alle regole previste dai trattati, ed è oggetto di una relazione elaborata dalla Commissione e discussa in seno al Parlamento europeo.
Il tentativo di individuare in maniera precisa le condizioni e le modalità di applicazione del principio di sussidiarietà, allo scopo di garantirne una più rigida osservanza da parte delle istituzioni, è stato uno degli obiettivi della Conferenza intergovernativa del 1996 che ha elaborato uno specifico Protocollo, allegato al Trattato di Amsterdam, sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.
Riaffermando la validità dei criteri di cui all’art. 5, il Trattato di Amsterdam ha infatti introdotto alcuni principi guida sulla base dei quali procedere alla valutazione delle condizioni atte a consentire l’intervento suppletivo da parte della Comunità:
— la questione in esame deve presentare aspetti transnazionali, che l’azione degli Stati membri non sia in grado di regolare in modo esauriente;
— l’azione dei soli Stati membri comprometterebbe le prescrizioni del trattato o gli interessi degli Stati membri;
— attraverso l’intervento comunitario sarebbero conseguiti dei risultati più vantaggiosi rispetto a quelli raggiunti con le azioni degli Stati membri.
La Commissione dovrebbe inoltre giustificare le sue proposte con riferimento al principio di sussidiarietà e presentare una relazione annuale al Consiglio europeo, al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione circa l’applicazione dell’art. 5 del trattato.
Al Consiglio spetterà poi procedere alla valutazione della conformità delle proposte della Commissione con le disposizioni dell’art. 5 del trattato e informare il Parlamento dei motivi in base ai quali la proposta della Commissione è ritenuta o meno conforme a tali disposizioni.
In questo modo viene introdotto una sorta di controllo preventivo sull’applicazione del principio di sussidiarietà, accanto al già previsto controllo successivo della Corte nell’ambito delle procedure nelle quali le competenze delle istituzioni politiche vengono contestate (artt. 230, 232 e 241, del Trattato CE).
Principio, introdotto dal Trattato di Maastricht, in base al quale la Comunità interviene in quei settori che non sono di sua esclusiva competenza solo quando la sua azione è considerata più efficace di quella intrapresa a livello nazionale, regionale o locale, senza andare oltre quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi fissati (v. Principio di proporzionalità).
Tale principio non è nuovo nello storico dibattito sulla ripartizione delle competenze e sulla cooperazione tra le Comunità e gli Stati membri, poiché già nel giugno 1975 il Rapporto Tindemans (v.) affermava che l’Unione avrebbe avuto competenza, in applicazione del principio di sussidiarietà, solo in quelle materie che gli Stati membri non erano in grado di affrontare con efficienza, senza dar vita, quindi, ad una struttura organizzativa di tipo federale.
Congelato per alcuni anni, a causa della preoccupazione di alcuni Stati di vedere limitati i propri poteri, il dibattito sul principio di sussidiarietà trova nuova linfa negli anni ’80 in occasione della presentazione del progetto di trattato sull’Unione europea (v. >Progetto Spinelli).
Sebbene fallì, il Progetto rappresenta un importante passo verso la formalizzazione del principio in esame, avviata con l’Atto unico europeo del 1986 e realizzatasi poi con il Trattato di Maastricht. L’art. 174 del Trattato CE sancisce, infatti, che solo nell’ambito della >politica dell’ambiente (v.) “la Comunità agisce nella misura in cui gli obiettivi possono essere meglio realizzati a livello comunitario piuttosto che a livello dei singoli Stati membri”.
Con il Trattato di Maastricht, invece, l’intervento della Comunità in via sussidiaria si amplia notevolmente: nel Preambolo, infatti, gli Stati membri dichiarano di voler creare un’Unione sempre più stretta tra i popoli e di prendere decisioni il più vicine possibili ai cittadini, conformemente al principio di sussidiarietà.
L’intervento della Comunità in via sussidiaria, secondo quanto disposto dall’art. 5, è soggetto a diversi presupposti:
— in primo luogo esso è previsto solo per le materie che non rientrano nella competenza esclusiva della CE, quindi con riguardo alle nuove politiche create dal Trattato sull’Unione con lo scopo di promuovere la cooperazione tra gli Stati membri o se necessario per completare la loro azione;
— la Comunità potrà intervenire sempre che l’azione prevista abbia una dimensione europea. Altrimenti dovrà agire il singolo Stato o un gruppo di Stati interessati;
— vi dovrà essere la presunzione dell’insufficienza degli Stati a risolvere lo specifico problema;
— da ultimo anche la presunzione dell’esigenza dell’intervento comunitario per una migliore soluzione dello stesso.
L’intervento della Comunità, inoltre, in applicazione del principio di proporzionalità, non deve andare “al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato”.
Il principio di sussidiarietà può pertanto essere visto come un elemento regolatore della competenza comunitaria: in tal senso esso assume, a ben vedere, una portata ambivalente.
Da un lato, infatti, è volto a salvaguardare l’ambito di competenza statale contro ogni ingerenza comunitaria che non sia necessaria: dall’altro tuttavia, si pone come un principio che giustifica l’intervento della Comunità anche in aree sino ad oggi riservate alla competenza degli Stati membri.
D’altro canto l’ambivalenza del principio in esame è evidente anche nelle espressioni usate dai capi di Stato e di governo nel Consiglio europeo di Edimburgo del dicembre 1992 laddove si poneva in evidenza che: “La sussidiarietà è un concetto dinamico che dovrebbe essere applicato sulla scorta degli obiettivi enunciati dal trattato. Esso consente di estendere le azioni della Comunità quando lo richiedono le circostanze e, viceversa, di restringerle o di interromperle quando esse non sono più giustificate”.
Le conclusioni del Consiglio europeo di Edimburgo sono state riprese e completate dall’Accordo interistituzionale tra Parlamento Europeo, Consiglio e Commissione relativo alle procedure per l’attuazione del principio di sussidiarietà, siglato a Lussemburgo il 25-26 ottobre 1993.
In particolare il documento si sofferma sulla necessità che le tre istituzioni, nell’esercizio delle proprie competenze, tengano conto del principio di sussidiarietà e ne giustifichino il rispetto: la Commissione nell’esercizio del suo diritto d’iniziativa (v. Iniziativa legislativa), dando giustificazione di ogni sua proposta; il Consiglio, invece, deve accogliere le richieste di ogni Stato membro che esiga l’esame di questioni che pongono problemi di sussidiarietà.
Il rispetto del principio di sussidiarietà è, inoltre, sottoposto ad un controllo effettuato nell’ambito delle procedure comunitarie normali, conformemente alle regole previste dai trattati, ed è oggetto di una relazione elaborata dalla Commissione e discussa in seno al Parlamento europeo.
Il tentativo di individuare in maniera precisa le condizioni e le modalità di applicazione del principio di sussidiarietà, allo scopo di garantirne una più rigida osservanza da parte delle istituzioni, è stato uno degli obiettivi della Conferenza intergovernativa del 1996 che ha elaborato uno specifico Protocollo, allegato al Trattato di Amsterdam, sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.
Riaffermando la validità dei criteri di cui all’art. 5, il Trattato di Amsterdam ha infatti introdotto alcuni principi guida sulla base dei quali procedere alla valutazione delle condizioni atte a consentire l’intervento suppletivo da parte della Comunità:
— la questione in esame deve presentare aspetti transnazionali, che l’azione degli Stati membri non sia in grado di regolare in modo esauriente;
— l’azione dei soli Stati membri comprometterebbe le prescrizioni del trattato o gli interessi degli Stati membri;
— attraverso l’intervento comunitario sarebbero conseguiti dei risultati più vantaggiosi rispetto a quelli raggiunti con le azioni degli Stati membri.
La Commissione dovrebbe inoltre giustificare le sue proposte con riferimento al principio di sussidiarietà e presentare una relazione annuale al Consiglio europeo, al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione circa l’applicazione dell’art. 5 del trattato.
Al Consiglio spetterà poi procedere alla valutazione della conformità delle proposte della Commissione con le disposizioni dell’art. 5 del trattato e informare il Parlamento dei motivi in base ai quali la proposta della Commissione è ritenuta o meno conforme a tali disposizioni.
In questo modo viene introdotto una sorta di controllo preventivo sull’applicazione del principio di sussidiarietà, accanto al già previsto controllo successivo della Corte nell’ambito delle procedure nelle quali le competenze delle istituzioni politiche vengono contestate (artt. 230, 232 e 241, del Trattato CE).