Principio della continuità dei contratti
Principio della continuità dei contratti art. 3 Regolamento CE 17 giugno 1997, n. 1103/97; art. 2 L. 17 dicembre 1997,
n. 433; D.Lgs. 24 giugno 1998, n. 213
Principio secondo il quale la controparte di un contratto in corso (sia esso di lavoro, di affitto, di assicurazione etc.) che ha
subito la sostituzione dell’euro (v.) alla moneta sulla base della quale era stato stipulato, non può invocare tale sostituzione nè per risolvere il contratto, nè per pretenderne la rinegoziazione o l’annullamento. Tutti i contratti restano pertanto validi fino alla scadenza prevista.
Introdotto dalla normativa comunitaria diretta a regolamentare il passaggio dalla moneta nazionale alla moneta unica, il principio della continuità scaturisce logicamente dal principio della neutralità dei contratti (v.), in base al quale si è sancito che l’introduzione dell’euro non influi-sce sui termini degli strumenti aventi efficacia giuridica.
Il principio della continuità è stato successivamente richiamato anche dalla legislazione italiana, soprattutto al fine di procedere ad una corretta interpretazione degli artt. 1277 e 1467 del codice civile.
Nel primo caso si afferma che “i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento… Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento, questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima”. Tutti i contratti che risultino stipulati con l’indicazione in lire possono, quindi, essere pagati anche in euro al termine del periodo transitorio (v.), dal momento che la nuova moneta è a tutti gli effetti moneta legale dello Stato italiano.
Nell’articolo 1467, invece, è prevista la clausola di risoluzione del contratto “per eccessiva onerosità sopravvenuta” a causa di eventi straordinari e imprevedibili, che non può essere invocata per quanto riguarda il passaggio dalla lira all’euro e ciò per due motivi. In primo luogo, sarebbe tutta da dimostrare l’eccessiva onerosità sopravvenuta, dal momento che le legislazioni comunitaria e nazionale prevedono meccanismi di conversione e arrotondamenti tesi a ridurre al minimo gli effetti monetari dell’introduzione della nuova moneta. In secondo luogo, l’adozione dell’euro non può essere considerato “un evento straordinario e imprevedibile”, tale da consentire la risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, poiché era già previsto dal Trattato di Maastricht del 1992.
È da notare però che le disposizioni relative alla continuità dei contratti sono applicabili ai soli paesi della Comunità, inclusi quelli che non adottano la moneta comune. Per i contratti regolati dalla legge di uno Stato extraeuropeo non è escluso che la parte interessata possa mutare i termini del contratto o addirittura invalidarlo, invocando il cambiamento della moneta quale circostanza straordinaria per la rescissione. Va sottolineato, però, che diversi Stati non comunitari stanno introducendo nelle loro legislazioni disposizioni specifiche per garantire la continuità dei contratti in seguito all’introduzione dell’euro.
n. 433; D.Lgs. 24 giugno 1998, n. 213
Principio secondo il quale la controparte di un contratto in corso (sia esso di lavoro, di affitto, di assicurazione etc.) che ha
subito la sostituzione dell’euro (v.) alla moneta sulla base della quale era stato stipulato, non può invocare tale sostituzione nè per risolvere il contratto, nè per pretenderne la rinegoziazione o l’annullamento. Tutti i contratti restano pertanto validi fino alla scadenza prevista.
Introdotto dalla normativa comunitaria diretta a regolamentare il passaggio dalla moneta nazionale alla moneta unica, il principio della continuità scaturisce logicamente dal principio della neutralità dei contratti (v.), in base al quale si è sancito che l’introduzione dell’euro non influi-sce sui termini degli strumenti aventi efficacia giuridica.
Il principio della continuità è stato successivamente richiamato anche dalla legislazione italiana, soprattutto al fine di procedere ad una corretta interpretazione degli artt. 1277 e 1467 del codice civile.
Nel primo caso si afferma che “i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento… Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento, questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima”. Tutti i contratti che risultino stipulati con l’indicazione in lire possono, quindi, essere pagati anche in euro al termine del periodo transitorio (v.), dal momento che la nuova moneta è a tutti gli effetti moneta legale dello Stato italiano.
Nell’articolo 1467, invece, è prevista la clausola di risoluzione del contratto “per eccessiva onerosità sopravvenuta” a causa di eventi straordinari e imprevedibili, che non può essere invocata per quanto riguarda il passaggio dalla lira all’euro e ciò per due motivi. In primo luogo, sarebbe tutta da dimostrare l’eccessiva onerosità sopravvenuta, dal momento che le legislazioni comunitaria e nazionale prevedono meccanismi di conversione e arrotondamenti tesi a ridurre al minimo gli effetti monetari dell’introduzione della nuova moneta. In secondo luogo, l’adozione dell’euro non può essere considerato “un evento straordinario e imprevedibile”, tale da consentire la risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, poiché era già previsto dal Trattato di Maastricht del 1992.
È da notare però che le disposizioni relative alla continuità dei contratti sono applicabili ai soli paesi della Comunità, inclusi quelli che non adottano la moneta comune. Per i contratti regolati dalla legge di uno Stato extraeuropeo non è escluso che la parte interessata possa mutare i termini del contratto o addirittura invalidarlo, invocando il cambiamento della moneta quale circostanza straordinaria per la rescissione. Va sottolineato, però, che diversi Stati non comunitari stanno introducendo nelle loro legislazioni disposizioni specifiche per garantire la continuità dei contratti in seguito all’introduzione dell’euro.