Primo pilastro
Primo pilastro art. 1 Trattato sull’Unione europea
Nell’ambito dell’assetto istituzionale dell’Unione europea delineato dal Trattato di Maastricht (v.), con questa espressione si fa riferimento ai meccanismi e alle politiche che rientrano nel campo di attività delle tre Comunità create negli anni ’50.
L’architettura istituzionale dell’Unione europea, sulla base di quanto disposto dall’articolo 1 del Trattato di Maastricht, viene generalmente individuata come una struttura che poggia su tre diversi pilastri (v. >Pilastri dell’Unione europea), il primo dei quali è dato dalle tre Comunità già esistenti; a questo primo pilastro vanno ad aggiungersi gli altri due relativi alla politica estera e di sicurezza comune (v. PESC) e alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (v.).
Il motivo di questa anomala costruzione va ricercato nella volontà degli Stati membri di non abdicare del tutto alle proprie prerogative sovrane in settori da sempre considerati di competenza interna. Nel primo e nel secondo pilastro, infatti, si attua una classica cooperazione intergovernativa (v.), mentre la cooperazione nei settori del primo pilastro si avvale di procedure del tutto particolari, applicandosi il cd. metodo comunitario (v.).
In pratica per le politiche intraprese nell’ambito del primo pilastro gli Stati membri hanno rinunciato alla propria sovranità, attribuendo una competenza esclusiva in materia alle istituzioni comunitarie. Ciò non vuol dire che gli Stati non hanno alcun potere nei settori individuati, ma semplicemente che tali poteri vanno esercitati nei modi e secondo le procedure proprie dei meccanismi comunitari. In particolare la volontà degli Stati si manifesta in seno al Consiglio, che tuttavia può deliberare anche senza raggiungere l’unanimità (v.), diversamente da quanto avviene negli altri due pilastri per i quali la regola è quella del consenso di tutti gli Stati, regola parzialmente mitigata con l’introduzione del meccanismo dell’astensione costruttiva (v.).
Il Trattato di Maastricht contiene anche una disposizione, la cd. passerella comunitaria (v.), che consente il passaggio di determinate politiche dal terzo al primo pilastro; tale strumento è stato già utilizzato in occasione della stesura del Trattato di Amsterdam (v.) con il quale si è proceduto alla comunitarizzazione (v.) delle politiche in materia di immigrazione, asilo, visti e tematiche connesse, provvedendo altresì alla ridenominazione del terzo pilastro che ora riguarda la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
Nell’ambito dell’assetto istituzionale dell’Unione europea delineato dal Trattato di Maastricht (v.), con questa espressione si fa riferimento ai meccanismi e alle politiche che rientrano nel campo di attività delle tre Comunità create negli anni ’50.
L’architettura istituzionale dell’Unione europea, sulla base di quanto disposto dall’articolo 1 del Trattato di Maastricht, viene generalmente individuata come una struttura che poggia su tre diversi pilastri (v. >Pilastri dell’Unione europea), il primo dei quali è dato dalle tre Comunità già esistenti; a questo primo pilastro vanno ad aggiungersi gli altri due relativi alla politica estera e di sicurezza comune (v. PESC) e alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (v.).
Il motivo di questa anomala costruzione va ricercato nella volontà degli Stati membri di non abdicare del tutto alle proprie prerogative sovrane in settori da sempre considerati di competenza interna. Nel primo e nel secondo pilastro, infatti, si attua una classica cooperazione intergovernativa (v.), mentre la cooperazione nei settori del primo pilastro si avvale di procedure del tutto particolari, applicandosi il cd. metodo comunitario (v.).
In pratica per le politiche intraprese nell’ambito del primo pilastro gli Stati membri hanno rinunciato alla propria sovranità, attribuendo una competenza esclusiva in materia alle istituzioni comunitarie. Ciò non vuol dire che gli Stati non hanno alcun potere nei settori individuati, ma semplicemente che tali poteri vanno esercitati nei modi e secondo le procedure proprie dei meccanismi comunitari. In particolare la volontà degli Stati si manifesta in seno al Consiglio, che tuttavia può deliberare anche senza raggiungere l’unanimità (v.), diversamente da quanto avviene negli altri due pilastri per i quali la regola è quella del consenso di tutti gli Stati, regola parzialmente mitigata con l’introduzione del meccanismo dell’astensione costruttiva (v.).
Il Trattato di Maastricht contiene anche una disposizione, la cd. passerella comunitaria (v.), che consente il passaggio di determinate politiche dal terzo al primo pilastro; tale strumento è stato già utilizzato in occasione della stesura del Trattato di Amsterdam (v.) con il quale si è proceduto alla comunitarizzazione (v.) delle politiche in materia di immigrazione, asilo, visti e tematiche connesse, provvedendo altresì alla ridenominazione del terzo pilastro che ora riguarda la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.