Pratiche concordate

Pratiche concordate art. 81 Trattato CE

Le pratiche concordate, come la stessa Corte di Giustizia delle Comunità europee (v.) ha specificato, costituiscono una “forma di coordinamento fra imprese che, senza essere stata spinta fino alla attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce in pratica una consapevole collaborazione fra le imprese stesse” a danno della concorrenza. La Corte ha altresì affermato che i criteri del “coordinamento” e della “collaborazione” caratteristici delle pratiche concordate non richiedono l’elaborazione di un vero e proprio piano “ma vanno intesi alla luce della concezione inerente alle norme del Trattato in materia di concorrenza e secondo la quale ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che egli intende seguire sul mercato comune (v.) e le condizioni che egli intende riservare alla clientela […]”.
È stato però precisato dalla Corte di Giustizia che la concertazione non si può presumere quando il comportamento parallelo di più imprese può spiegarsi in altro modo (sentenza del 13 luglio 1989, Tournier, in causa 395/87). Esso, comunque, rimane un indizio qualora i prezzi adottati dalle imprese siano differenti da quelli del mercato concorrenziale e quando ci sia una “cristallizzazione delle posizioni acquisite, a detrimento della effettiva libertà di circolazione delle merci, nel mercato comune, e della libera scelta dei fornitori da parte dei consumatori” (vedi sentenza del 14 luglio 1972, ICI, in causa 48/69; sentenza Tournier, già citata; sentenza del 13 luglio 1989, SACEM, cause riunite 110, 241, 242/88).
Affinché le pratiche in esame ricadano sotto il divieto di cui all’art. 81 devono essere presenti due condizioni:
— la ragionevole possibilità che esse arrechino un pregiudizio al commercio fra gli Stati membri, tale cioè che, considerato un complesso di elementi oggettivi di diritto o di fatto, sia messa a rischio la realizzazione di un mercato unico (v.) fra gli Stati membri;
— l’oggetto e l’effetto delle pratiche concordate sia quello di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune (v. Politica della concorrenza).
Il divieto in esame, tuttavia, non è assoluto. In particolare ne è prevista l’esenzione qualora esse:
— contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti;
— promuovano il progresso tecnico o economico;
— riservano agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva.