Poteri impliciti

Poteri impliciti [Teoria dei] art. 308 Trattato CE

Si tratta di una teoria inizialmente elaborata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti e successivamente accolta anche dalla Corte Internazionale di Giustizia e dalla Corte di Giustizia delle Comunità.
Secondo tale teoria un organo internazionale può utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per raggiungere gli scopi previsti dal trattato istitutivo dell’organizzazione stessa, anche quando tali mezzi non sono espressamente previsti nel testo del trattato.
Nel Trattato istitutivo della Comunità europea è stato inserito un articolo, il 308 (ex 235), che richiama la teoria dei poteri impliciti. Secondo tale norma “quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente trattato abbia previsto i poteri d’azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso”.
In virtù della portata dell’articolo 308, le condizioni per l’esercizio del potere in esame sono alquanto restrittive. Dal punto di vista sostanziale occorre che l’azione sia necessaria per il raggiungimento degli scopi della Comunità e deve servire al funzionamento del mercato comune. Dal punto di vista procedurale il Consiglio deve deliberare all’unanimità, previa proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo.
In realtà i poteri riconosciuti dalla norma in questione sono subordinati all’esistenza di due condizioni indispensabili:
— l’azione deve essere necessaria per raggiungere uno degli scopi della Comunità;
— l’azione deve servire al funzionamento del mercato comune.
La Corte di Giustizia nella sua giurisprudenza, scavalcando il dettato dell’art. 308, nonché la complessa procedura da questo presentata, ha portato al riconoscimento alle istituzioni della Comunità di poteri non espressamente conferiti, ma indispensabili per esercitare in modo efficace ed appropriato le competenze loro attribuite.
Infatti, nella prassi tutte le volte che il Consiglio ha raggiunto l’unanimità, sono stati adottati atti che non avevano alcun collegamento con gli scopi della Comunità od il funzionamento del mercato, nonostante l’espressa menzione dell’articolo 308. Tant’è che, proprio attraverso l’applicazione del suddetto articolo, è stata legittimata l’azione comunitaria in settori quali la politica regionale, la politica ambientale, la politica industriale ed energetica e finanche la politica economica e monetaria, prima ancora che questa rientrasse nei compiti della Comunità previsti dall’articolo 2 del Trattato CE. È possibile quindi, per le istituzioni comunitarie, intervenire in settori non menzionati dal Trattato, oppure adottare, in un settore di competenza comunitaria, atti diversi da quelli previsti (es. regolamenti al posto di direttive). Ciò che è precluso alle istituzioni è di derogare alle disposizioni del trattato: infatti, l’articolo 308 si riferisce ad azioni e non fa accenno alcuno, com’è ovvio, alla possibilità di modificare la struttura istituzionale della Comunità, così come delineata dal trattato. Altra possibile limitazione è rappresentata dal richiamo al principio di sussidiarietà (v.) da parte degli Stati membri.
La Corte ha così avallato l’atteggiamento del Consiglio nell’uso di poteri impliciti quando nel 1973 (nella sentenza Massey/Ferguson) ha enunciato esplicitamente il principio per cui le istituzioni comunitarie hanno il diritto di emanare atti in tutti quei settori nei quali il trattato attribuisce loro una competenza legittimando in tal modo l’istituzione da parte del Consiglio di vari Comitati di gestione e regolamentazione e il suo intervento in materia di pesca e ambiente.
È bene sottolineare che negli ultimi anni la Corte ha mostrato un atteggiamento più restrittivo, evidenziando il carattere residuale della norma ed escludendone l’uso ogni volta che, in base al trattato, sia possibile disporre di una base giuridica alternativa (vedi sentenza CGCE del 26 marzo 1987, Commissione c. Consiglio, in causa 45/86 e sentenza CGCE del 30 maggio 1989, Commissione c. Consiglio, in causa 242/87).