Politica di difesa comune
Politica di difesa comune art. 17 Trattato sull’Unione europea
Politica comunitaria di coordinamento decisionale, strategico e politico degli Stati membri dell’Unione europea, che si concretizza in missioni umanitarie di soccorso, in attività di mantenimento della pace e di gestione delle situazioni di crisi.
La necessità di dotare la Comunità europea di un potere decisionale in ambito difensivo aveva già ispirato, nel 1952, il Trattato per l’istituzione della Comunità europea di difesa (v. CED).
Il fallimento del progetto della CED ebbe come principale conseguenza l’abbandono dell’idea di costituire una autonoma struttura di difesa comune europea.
I negoziati per il Trattato di Maastricht riaprirono il dibattito sull’esigenza di dotare la Comunità di una struttura operativa di difesa, da inserire nel contesto di una politica estera e di sicurezza comune (v. PESC). Due erano le iniziative fondamentali: la proposta franco-tedesca si sostanziava nella possibilità di intervenire direttamente in conflitti militari attraverso l’UEO (v.) che doveva diventare una specie di organismo militare della Comunità, senza per questo pregiudicare l’operato della NATO; la proposta di Regno Unito e Paesi Bassi che, contrari alla tesi della “difesa comune” avanzata da Francia e Germania, sostenevano che la realizzazione di una identità europea in materia di sicurezza e difesa (v.) dovesse avvenire gradualmente, attraverso l’attuazione della PESC e la realizzazione dell’obiettivo di lungo periodo di una “politica di difesa comune”. I sostenitori di quest’ultima proposta temevano, in realtà, che una difesa europea ostacolasse l’impegno dell’Alleanza atlantica nella difesa del continente europeo.
Una soluzione di compromesso fu elaborata con la previsione di una politica di difesa comune (auspicata da Regno Unito e Paesi Bassi) tra gli obiettivi dell’Unione, politica che avrebbe potuto condurre successivamente ad una vera e propria difesa comune (proposta da Francia e Germania).
La politica di difesa comune è stata inserita nel Trattato sull’Unione europea, all’art. J 4 (ora 17); quest’ultimo prevedeva, inoltre, la possibilità che tale coordinamento potesse evolversi in una difesa comune concretizzandosi, quindi, in una cooperazione di tipo militare.
Durante i negoziati della Conferenza intergovernativa del 1996 si è cercato di individuare e specificare al meglio il ruolo dell’Unione sulla scena internazionale nell’ambito della politica di sicurezza estera e di difesa comune. Nella nuova formulazione dell’art. J 4 (ora 17), infatti, sono state apportate rilevanti novità sia sul piano istituzionale che delle modalità di attuazione di tale impegno. Innanzitutto sono stati definiti gli ambiti di intervento dell’Unione europea; essi includono “le missioni umanitarie e di soccorso, le attività di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento nella gestione di crisi, ivi comprese le missioni tese al ristabilimento della pace”. In realtà queste attività riprendono integralmente, o quasi, la formula utilizzata nella dichiarazione finale del Consiglio dei Ministri dell’UEO del 1992; in quell’occasione furono definite le cd. missioni Petersberg (v. Dichiarazione di Petersberg), che, essendo di natura difensiva, possono coinvolgere tutti gli Stati membri, anche quelli che hanno lo status di osservatore.
Dal punto di vista istituzionale assume un ruolo rilevante il Consiglio europeo al quale è demandata la decisione in merito alla definizione della difesa comune e ad una eventuale integrazione dell’UEO nell’Unione; il Consiglio, infatti, raccomanda agli Stati membri l’adozione di tali decisioni secondo le rispettive norme costituzionali.
Resta invariata la possibilità per gli Stati membri di adottare disposizioni nazionali in tema di sicurezza e difesa così come la politica dell’Unione rispetta gli obblighi che alcuni di essi hanno assunto nei confronti della NATO.
Per quanto riguarda i rapporti tra l’UEO e l’UE l’art. 17 ribadisce che la prima è parte integrante dello sviluppo dell’Unione e che conferisce all’UE “l’accesso ad una capacità operativa di difesa”. Viene in tal modo riconfermata la volontà di utilizzare l’UEO in attività PESC per le questioni attinenti alla difesa ma, secondo le nuove disposizioni, sono assoggettate alle decisioni del Consiglio europeo: con le modifiche apportate dal Trattato di Amsterdam, infatti, il Consiglio non chiede più all’UEO di elaborare e porre in essere le decisioni e le azioni dell’Unione ma si avvale di essa.
Uno dei nodi più controversi, però, nello sviluppo di una vera e propria politica di difesa comune europea è quello di definire con esattezza le competenze dell’Unione europea, della NATO e dell’UEO.
Nell’immediato dopoguerra l’Alleanza atlantica ha rappresentato il fulcro della struttura di difesa militare in Europa, sotto l’egida degli Stati Uniti. Fino alla caduta dell’ex blocco comunista la contrapposizione tra le due superpotenze non ha consentito alcun margine di manovra per lo sviluppo di una autonoma identità europea in materia di difesa (motivo di fondo anche del fallimento della CED). Soltanto negli ultimi anni si sono aperti spazi di manovra per gli Stati europei nel campo della difesa comune, che in prospettiva dovrebbe condurre ad una suddivisione dei compiti tra NATO e UEO: la prima dovrebbe garantire la difesa comune verso l’esterno, mentre la seconda dovrebbe caratterizzarsi sempre più come lo strumento operativo per le operazioni militari che hanno esclusiva rilevanza europea, sotto l’egida politica dell’Unione europea.
Alla riunione dei capi di Stato e di governo della NATO svoltasi a Bruxelles l’11 gennaio 1994, è stata ribadita l’esigenza dello sviluppo di una identità europea di tipo difensivo da realizzare attraverso la costituzione del Gruppo di Forze Interarmate Multinazionali (v. GFIM). A tal proposito essi hanno confermato la loro disponibilità a fornire capacità militari dell’Alleanza per operazioni condotte dall’UEO e ad incontri UEO-NATO per discutere i futuri sviluppi di questa collaborazione.
Con il Consiglio NATO svoltosi a Berlino il 3 giugno 1996, si è decisa la costituzione delle GFIM, dando l’effettiva possibilità all’UEO di utilizzare le capacità logistiche ed operative dell’Alleanza in operazioni condotte sotto la propria responsabilità; gli europei, inoltre, disporranno, nell’ambito della struttura militare della NATO, di posizioni di comando.
L’obiettivo di una difesa europea nel quadro di una politica estera e di sicurezza comune rientra anche tra i proponimenti del Trattato di Amsterdam il quale, in un Protocollo allegato, prevede l’elaborazione, insieme con l’UEO, di disposizioni per il miglioramento della collaborazione reciproca.
Il ruolo di questa organizzazione come strumento operativo dell’Unione europea è stato anche riaffermato nella Dichiarazione di Rodi del maggio 1998, adottata a conclusione della riunione del Consiglio dei Ministri dell’UEO. Nella stessa sede all’UEO è stato attribuito il compito di coordinare i rapporti tra l’Unione Europea e la NATO. L’obiettivo del rafforzamento della politica di difesa comune ha segnato una nuova tappa con le decisioni assunte dal Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999. In quella sede è stata rilevata la necessità di sviluppare capacità militari più efficienti e istituire nuovi organi militari e politici (v. Comitato militare; CPS) in grado di svolgere e gestire nel migliore dei modi le missioni di Petersberg. A tal fine è stato deciso di creare, entro il 2003, il primo nucleo di un’autonoma forza militare dell’Unione, con un corpo di 50-60.000 uomini in grado di essere schierato nell’arco di 60 giorni e di mantenere la posizione per almeno un anno.
Politica comunitaria di coordinamento decisionale, strategico e politico degli Stati membri dell’Unione europea, che si concretizza in missioni umanitarie di soccorso, in attività di mantenimento della pace e di gestione delle situazioni di crisi.
La necessità di dotare la Comunità europea di un potere decisionale in ambito difensivo aveva già ispirato, nel 1952, il Trattato per l’istituzione della Comunità europea di difesa (v. CED).
Il fallimento del progetto della CED ebbe come principale conseguenza l’abbandono dell’idea di costituire una autonoma struttura di difesa comune europea.
I negoziati per il Trattato di Maastricht riaprirono il dibattito sull’esigenza di dotare la Comunità di una struttura operativa di difesa, da inserire nel contesto di una politica estera e di sicurezza comune (v. PESC). Due erano le iniziative fondamentali: la proposta franco-tedesca si sostanziava nella possibilità di intervenire direttamente in conflitti militari attraverso l’UEO (v.) che doveva diventare una specie di organismo militare della Comunità, senza per questo pregiudicare l’operato della NATO; la proposta di Regno Unito e Paesi Bassi che, contrari alla tesi della “difesa comune” avanzata da Francia e Germania, sostenevano che la realizzazione di una identità europea in materia di sicurezza e difesa (v.) dovesse avvenire gradualmente, attraverso l’attuazione della PESC e la realizzazione dell’obiettivo di lungo periodo di una “politica di difesa comune”. I sostenitori di quest’ultima proposta temevano, in realtà, che una difesa europea ostacolasse l’impegno dell’Alleanza atlantica nella difesa del continente europeo.
Una soluzione di compromesso fu elaborata con la previsione di una politica di difesa comune (auspicata da Regno Unito e Paesi Bassi) tra gli obiettivi dell’Unione, politica che avrebbe potuto condurre successivamente ad una vera e propria difesa comune (proposta da Francia e Germania).
La politica di difesa comune è stata inserita nel Trattato sull’Unione europea, all’art. J 4 (ora 17); quest’ultimo prevedeva, inoltre, la possibilità che tale coordinamento potesse evolversi in una difesa comune concretizzandosi, quindi, in una cooperazione di tipo militare.
Durante i negoziati della Conferenza intergovernativa del 1996 si è cercato di individuare e specificare al meglio il ruolo dell’Unione sulla scena internazionale nell’ambito della politica di sicurezza estera e di difesa comune. Nella nuova formulazione dell’art. J 4 (ora 17), infatti, sono state apportate rilevanti novità sia sul piano istituzionale che delle modalità di attuazione di tale impegno. Innanzitutto sono stati definiti gli ambiti di intervento dell’Unione europea; essi includono “le missioni umanitarie e di soccorso, le attività di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento nella gestione di crisi, ivi comprese le missioni tese al ristabilimento della pace”. In realtà queste attività riprendono integralmente, o quasi, la formula utilizzata nella dichiarazione finale del Consiglio dei Ministri dell’UEO del 1992; in quell’occasione furono definite le cd. missioni Petersberg (v. Dichiarazione di Petersberg), che, essendo di natura difensiva, possono coinvolgere tutti gli Stati membri, anche quelli che hanno lo status di osservatore.
Dal punto di vista istituzionale assume un ruolo rilevante il Consiglio europeo al quale è demandata la decisione in merito alla definizione della difesa comune e ad una eventuale integrazione dell’UEO nell’Unione; il Consiglio, infatti, raccomanda agli Stati membri l’adozione di tali decisioni secondo le rispettive norme costituzionali.
Resta invariata la possibilità per gli Stati membri di adottare disposizioni nazionali in tema di sicurezza e difesa così come la politica dell’Unione rispetta gli obblighi che alcuni di essi hanno assunto nei confronti della NATO.
Per quanto riguarda i rapporti tra l’UEO e l’UE l’art. 17 ribadisce che la prima è parte integrante dello sviluppo dell’Unione e che conferisce all’UE “l’accesso ad una capacità operativa di difesa”. Viene in tal modo riconfermata la volontà di utilizzare l’UEO in attività PESC per le questioni attinenti alla difesa ma, secondo le nuove disposizioni, sono assoggettate alle decisioni del Consiglio europeo: con le modifiche apportate dal Trattato di Amsterdam, infatti, il Consiglio non chiede più all’UEO di elaborare e porre in essere le decisioni e le azioni dell’Unione ma si avvale di essa.
Uno dei nodi più controversi, però, nello sviluppo di una vera e propria politica di difesa comune europea è quello di definire con esattezza le competenze dell’Unione europea, della NATO e dell’UEO.
Nell’immediato dopoguerra l’Alleanza atlantica ha rappresentato il fulcro della struttura di difesa militare in Europa, sotto l’egida degli Stati Uniti. Fino alla caduta dell’ex blocco comunista la contrapposizione tra le due superpotenze non ha consentito alcun margine di manovra per lo sviluppo di una autonoma identità europea in materia di difesa (motivo di fondo anche del fallimento della CED). Soltanto negli ultimi anni si sono aperti spazi di manovra per gli Stati europei nel campo della difesa comune, che in prospettiva dovrebbe condurre ad una suddivisione dei compiti tra NATO e UEO: la prima dovrebbe garantire la difesa comune verso l’esterno, mentre la seconda dovrebbe caratterizzarsi sempre più come lo strumento operativo per le operazioni militari che hanno esclusiva rilevanza europea, sotto l’egida politica dell’Unione europea.
Alla riunione dei capi di Stato e di governo della NATO svoltasi a Bruxelles l’11 gennaio 1994, è stata ribadita l’esigenza dello sviluppo di una identità europea di tipo difensivo da realizzare attraverso la costituzione del Gruppo di Forze Interarmate Multinazionali (v. GFIM). A tal proposito essi hanno confermato la loro disponibilità a fornire capacità militari dell’Alleanza per operazioni condotte dall’UEO e ad incontri UEO-NATO per discutere i futuri sviluppi di questa collaborazione.
Con il Consiglio NATO svoltosi a Berlino il 3 giugno 1996, si è decisa la costituzione delle GFIM, dando l’effettiva possibilità all’UEO di utilizzare le capacità logistiche ed operative dell’Alleanza in operazioni condotte sotto la propria responsabilità; gli europei, inoltre, disporranno, nell’ambito della struttura militare della NATO, di posizioni di comando.
L’obiettivo di una difesa europea nel quadro di una politica estera e di sicurezza comune rientra anche tra i proponimenti del Trattato di Amsterdam il quale, in un Protocollo allegato, prevede l’elaborazione, insieme con l’UEO, di disposizioni per il miglioramento della collaborazione reciproca.
Il ruolo di questa organizzazione come strumento operativo dell’Unione europea è stato anche riaffermato nella Dichiarazione di Rodi del maggio 1998, adottata a conclusione della riunione del Consiglio dei Ministri dell’UEO. Nella stessa sede all’UEO è stato attribuito il compito di coordinare i rapporti tra l’Unione Europea e la NATO. L’obiettivo del rafforzamento della politica di difesa comune ha segnato una nuova tappa con le decisioni assunte dal Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999. In quella sede è stata rilevata la necessità di sviluppare capacità militari più efficienti e istituire nuovi organi militari e politici (v. Comitato militare; CPS) in grado di svolgere e gestire nel migliore dei modi le missioni di Petersberg. A tal fine è stato deciso di creare, entro il 2003, il primo nucleo di un’autonoma forza militare dell’Unione, con un corpo di 50-60.000 uomini in grado di essere schierato nell’arco di 60 giorni e di mantenere la posizione per almeno un anno.