Politica della pesca

Politica della pesca

Politica, denominata anche dell’Europa blu, il cui scopo è la gestione razionale e la conservazione delle risorse ittiche.
L’istituzione di una politica comune nel settore è stata dettata dalla necessità di garantire a tutti i pescatori degli Stati membri della Comunità il libero accesso, a pari condizioni, alle zone di pesca comunitarie in applicazione del principio di non discriminazione (v.) in base alla nazionalità.
Questo obiettivo è strettamente legato alle altre finalità che la politica della pesca si pone: assicurare un reddito adeguato agli operatori del settore, garantire la stabilità dei prezzi, la sicurezza degli approvvigionamenti, assicurare prezzi ragionevoli per i consumatori e la conservazione delle risorse ittiche.
La mancanza nel Trattato di Roma di un riferimento specifico alla politica comune della pesca era dovuto al fatto che i sei Stati membri originari non lo consideravano un settore in cui intervenire, soprattutto date le altre priorità da raggiungere, quali la realizzazione di un mercato comune (v.).
La prima misura strutturale nell’ambito della pesca risale al 1970 quando, con il regolamento n. 214 del 20 ottobre dello stesso anno (abrogato poi dal regolamento CEE n. 101/76), il Consiglio dava attuazione ad una politica comune in questo settore che prevedeva tra l’altro, il libero accesso anche alle zone costiere degli Stati membri.
Questo iniziale intervento della Comunità si realizzò poco prima dell’allargamento (v. Adesione) a nuovi Stati, quali Regno Unito, Danimarca e Irlanda, ricchi di risorse ittiche che, trovandosi dinanzi ad un “fatto compiuto”, non avrebbero potuto fare altro che accettare la politica comune. In realtà gli atti di adesione alla Comunità di questi nuovi Stati contenevano una deroga per dieci anni alla disciplina comunitaria, deroga che permetteva loro di riservare la fascia costiera, che passava da sei a dodici miglia, ai soli pescatori locali.
Il timore di uno sfruttamento irrazionale delle risorse ittiche (soprattutto del Mare del nord) rendeva indispensabile e urgente una politica comune di controllo e conservazione di tali risorse soprattutto da quando alcuni Stati atlantici avevano esteso, con un atto unilaterale, la zona economica esclusiva a 200 miglia: di qui il regolamento CEE n. 170 del 25 gennaio 1983 con il quale il Consiglio istituì un regime comunitario di conservazione e di gestione delle risorse della pesca, successivamente abrogato e sostituito con il regolamento CEE n. 3760 del 20 dicembre 1992 che ancora oggi disciplina la politica comune della pesca.
L’organizzazione comune di mercato (v. OCM) dei prodotti della pesca è caratterizzata da:
— norme di qualità relative alla taglia, al peso, all’imballaggio, alla presentazione e all’etichettatura dei prodotti;
— fissazione delle quantità massime di pescato;
— sistema di prezzi affidato al libero mercato. Qualora però il prezzo scende al di sotto di un prezzo limite, il pesce viene ritirato dal mercato;
— importazioni controllate dalla Commissione per soddisfare la domanda interna di pesce.
La Comunità, inoltre, cerca di aiutare l’industria della pesca, in crisi a causa di una flotta eccessiva, di un sovrasfruttamento degli stock, di elevati debiti e di problemi di commercializzazione, attraverso programmi di orientamento pluriennali che mirano alla ristrutturazione delle flotte da pesca, lo strumento finanziario di orientamento per la pesca (v. SFOP) e misure socio-economiche che prevedono l’utilizzo dei contributi del Fondo europeo di sviluppo regionale (v. FESR) e del Fondo sociale europeo (v. FSE).

Politica della pesca


Base giuridica:
art.32 Trattato CE

Direzione generale responsabile:
Direzione generale della pesca

Sito Internet:
www.europa.eu.int/comm/dgs/fisheries/index_it.htm

Voci collegate:
Fondi strutturali, OMC, PAC, Principio di non discriminazione, Programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico, SFOP, TAC