Parlamenti nazionali
Parlamenti nazionali
Il ruolo dei Parlamenti nazionali nel processo di integrazione europeo è stato in passato alquanto marginale, al pari di quello del Parlamento europeo (v. Deficit democratico). Nei primi decenni di attività delle Comunità i Parlamenti dei diversi Stati membri si limitavano alla nomina dei propri rappresentanti presso il Parlamento europeo, che all’epoca aveva scarsi poteri decisionali, e a dare attuazione, spesso in maniera acritica, alle disposizioni emanate dalle istituzioni comunitarie. In questa fase i veri attori del processo di integrazione erano i governi nazionali che, nell’ambito del Consiglio, tracciavano il percorso dell’unificazione europea. D’altra parte bisogna anche sottolineare che inizialmente il fenomeno comunitario era stato largamente sottovalutato, anche a causa delle limitate competenze attribuite alle Comunità.
Con l’evolversi e l’ampliarsi dei campi d’azione delle Comunità, i Parlamenti nazionali hanno avvertito in maniera sempre più pressante l’esigenza di un maggiore coinvolgimento in un processo che, nel tempo, aveva fortemente limitato la loro sfera d’azione (si pensi ai tanti settori in cui l’attività legislativa dei Parlamenti è vincolata dalle disposizioni comunitarie).
Un primo riscontro a queste richieste è venuto con l’approvazione delle Dichiarazioni n. 13 e 14, allegate al Trattato di Maastricht.
Con la prima dichiarazione la Conferenza intergovernativa riteneva opportuno incoraggiare i Parlamenti nazionali ad una maggiore partecipazione alle attività dell’Unione europea, indicando a tale scopo due piani di intervento; il primo era destinato ad intensificare lo scambio di informazioni tra gli stessi Parlamenti nazionali e il Parlamento europeo, mentre il secondo, ispirato sempre all’obiettivo di potenziare i contatti tra le due istituzioni, sottolineava l’importanza di favorire incontri regolari tra parlamentari interessati agli stessi problemi.
La Dichiarazione n. 14, invece, invitava a istituzionalizzare una cooperazione tra l’Assemblea parlamentare europea e i Parlamenti degli Stati membri riunendosi, se necessario, in formazione di Conferenza (Assise), la cui funzione era quella di essere consultata sui grandi orientamenti dell’Unione europea.
Il contenuto delle due dichiarazioni è stato successivamente ripreso e precisato in un protocollo allegato al Trattato di Amsterdam sul ruolo dei Parlamenti nazionali nell’Unione europea, che affronta la problematica sotto due diversi profili:
— la comunicazione di informazioni ai Parlamenti nazionali;
— il ruolo della Conferenza degli organi parlamentari specializzati negli affari europei (v. COSAC).
Riguardo al primo aspetto, il protocollo dispone che una migliore informazione dei Parlamenti nazionali è data attraverso la trasmissione tempestiva di tutti i documenti di consultazione (v. Libro bianco; Libro verde; Comunicazioni della Commissione) presentati dalla Commissione. Inoltre i governi sono chiamati a comunicare ai rispettivi Parlamenti le proposte legislative presentate dalla Commissione, in tempo utile per permettere loro di prenderne visione; a tal fine è previsto che il Consiglio dell’Unione debba attendere almeno sei settimane prima di poter porre all’ordine del giorno la proposta legislativa della Commissione (salvo casi di necessità e urgenza).
Il secondo aspetto del protocollo fa, invece, riferimento alla Conferenza delle Commissioni per gli affari europei (COSAC), organismo al quale per la prima volta è attribuito uno specifico (seppur marginale) ruolo nell’ambito dell’assetto comunitario.
Il ruolo dei Parlamenti nazionali nel processo di integrazione europeo è stato in passato alquanto marginale, al pari di quello del Parlamento europeo (v. Deficit democratico). Nei primi decenni di attività delle Comunità i Parlamenti dei diversi Stati membri si limitavano alla nomina dei propri rappresentanti presso il Parlamento europeo, che all’epoca aveva scarsi poteri decisionali, e a dare attuazione, spesso in maniera acritica, alle disposizioni emanate dalle istituzioni comunitarie. In questa fase i veri attori del processo di integrazione erano i governi nazionali che, nell’ambito del Consiglio, tracciavano il percorso dell’unificazione europea. D’altra parte bisogna anche sottolineare che inizialmente il fenomeno comunitario era stato largamente sottovalutato, anche a causa delle limitate competenze attribuite alle Comunità.
Con l’evolversi e l’ampliarsi dei campi d’azione delle Comunità, i Parlamenti nazionali hanno avvertito in maniera sempre più pressante l’esigenza di un maggiore coinvolgimento in un processo che, nel tempo, aveva fortemente limitato la loro sfera d’azione (si pensi ai tanti settori in cui l’attività legislativa dei Parlamenti è vincolata dalle disposizioni comunitarie).
Un primo riscontro a queste richieste è venuto con l’approvazione delle Dichiarazioni n. 13 e 14, allegate al Trattato di Maastricht.
Con la prima dichiarazione la Conferenza intergovernativa riteneva opportuno incoraggiare i Parlamenti nazionali ad una maggiore partecipazione alle attività dell’Unione europea, indicando a tale scopo due piani di intervento; il primo era destinato ad intensificare lo scambio di informazioni tra gli stessi Parlamenti nazionali e il Parlamento europeo, mentre il secondo, ispirato sempre all’obiettivo di potenziare i contatti tra le due istituzioni, sottolineava l’importanza di favorire incontri regolari tra parlamentari interessati agli stessi problemi.
La Dichiarazione n. 14, invece, invitava a istituzionalizzare una cooperazione tra l’Assemblea parlamentare europea e i Parlamenti degli Stati membri riunendosi, se necessario, in formazione di Conferenza (Assise), la cui funzione era quella di essere consultata sui grandi orientamenti dell’Unione europea.
Il contenuto delle due dichiarazioni è stato successivamente ripreso e precisato in un protocollo allegato al Trattato di Amsterdam sul ruolo dei Parlamenti nazionali nell’Unione europea, che affronta la problematica sotto due diversi profili:
— la comunicazione di informazioni ai Parlamenti nazionali;
— il ruolo della Conferenza degli organi parlamentari specializzati negli affari europei (v. COSAC).
Riguardo al primo aspetto, il protocollo dispone che una migliore informazione dei Parlamenti nazionali è data attraverso la trasmissione tempestiva di tutti i documenti di consultazione (v. Libro bianco; Libro verde; Comunicazioni della Commissione) presentati dalla Commissione. Inoltre i governi sono chiamati a comunicare ai rispettivi Parlamenti le proposte legislative presentate dalla Commissione, in tempo utile per permettere loro di prenderne visione; a tal fine è previsto che il Consiglio dell’Unione debba attendere almeno sei settimane prima di poter porre all’ordine del giorno la proposta legislativa della Commissione (salvo casi di necessità e urgenza).
Il secondo aspetto del protocollo fa, invece, riferimento alla Conferenza delle Commissioni per gli affari europei (COSAC), organismo al quale per la prima volta è attribuito uno specifico (seppur marginale) ruolo nell’ambito dell’assetto comunitario.