Funzionari delle Comunità europee
Funzionari delle Comunità europee Regolamento CECA/CE/EURATOM 19 dicembre 1994, n. 3161/94
Il personale impiegato presso le istituzioni comunitarie viene assunto a seguito di esami pubblici ed è suddiviso in quattro categorie (A, B, C e D), a loro volta articolate in gradi, a seconda del tipo di attività esercitata e della valenza del loro incarico.
Il passaggio da una categoria all’altra avviene tramite concorso, mentre l’accesso al grado superiore si verifica per promozione, attraverso una selezione eseguita sulla base di criteri meritocratici tra i funzionari che hanno maturato un’anzianità minima.
Tutti i funzionari delle istituzioni comunitarie (fatta eccezione per quelli di grado A1 e A2), sono tenuti ad effettuare un periodo di prova, la cui durata può variare dai sei mesi, per il personale delle categorie C e D, ai nove mesi, per quello delle categorie A, B e CA.
L’avanzamento retributivo avviene automaticamente, con il passare del tempo. Allo stipendio base, fissato da una tabella divisa in scatti, esistente per ogni grado, si aggiungono una serie di indennità e di assegni, fra i quali un’indennità di dislocazione per i funzionari costretti a espatriare a seguito dell’assunzione ed a vari assegni familiari versati mensilmente.
L’attuale disciplina relativa al rapporto di lavoro con le istituzioni comunitarie, contenuta nel regolamento n. 3161/94, si ispira a quella vigente nella maggior parte degli ordinamenti degli Stati membri per il personale delle amministrazioni nazionali.
Il regime del personale comunitario è infatti caratterizzato da regole speciali che si differenziano da quelle che disciplinano il rapporto di lavoro di diritto privato.
I dipendenti delle istituzioni comunitarie sono difatti assoggettati a obblighi particolari e possono godere di speciali privilegi. Tuttavia la disciplina che regola il rapporto di lavoro con le istituzioni comunitarie si discosta dal modello offerto dagli ordinamenti nazionali per alcune caratteristiche peculiari.
Innanzitutto è previsto che il reclutamento dei funzionari di grado più elevato possa avvenire con una procedura diversa dal concorso pubblico. Ciò favorisce il prevalere di criteri discrezionali rispetto a quelli meritocratici, non consentendo l’applicazione del principio della separazione fra politica e amministrazione.
A questo problema si riconnette quello delle quote nazionali, ossia della politica tesa ad assicurare una buona rappresentanza alle varie nazionalità in tutto l’apparato amministrativo comunitario. In pratica la ripartizione geografica dei posti disponibili, la quale condiziona non soltanto le assunzioni, ma anche le promozioni dei funzionari, fa sì che la scelta del personale non sia effettuata soltanto sulla base delle idoneità individuali, concedendo ai governi nazionali la possibilità di incidere sulle scelte dell’amministrazione comunitaria.
Contrariamente a ciò che avviene nelle amministrazioni nazionali, il ruolo delle organizzazioni sindacali appare notevolmente ridotto. Nonostante l’art. 24bis dello Statuto che regola la disciplina del rapporto di lavoro con la Comunità riconosca il diritto di associazione in organizzazioni sindacali, in pratica gli interessi del personale delle istituzioni comunitarie sono per lo più gestiti da comitati, i quali si costituiscono all’interno di ciascuna istituzione.
L’art. 236 del Trattato CE attribuisce alla Corte di Giustizia delle Comunità europee la competenza a pronunciarsi su eventuali controversie che possono sorgere fra la Comunità e i suoi agenti.
Tale competenza include anche le controversie che coinvolgono solo indirettamente le istituzioni comunitarie e il personale impiegato, come ad esempio quelli inerenti la regolarità dell’elezione dei comitati che gestiscono gli interessi dei funzionari.
Nell’intento di rendere più agile il lavoro della Corte è stato in seguito stabilito che questo tipo di contenzioso fosse assegnato alla competenza del Tribunale di primo grado (v.). La Corte di Giustizia sarà pertanto chiamata a pronunciarsi soltanto in caso di impugnazione.
Il personale impiegato presso le istituzioni comunitarie viene assunto a seguito di esami pubblici ed è suddiviso in quattro categorie (A, B, C e D), a loro volta articolate in gradi, a seconda del tipo di attività esercitata e della valenza del loro incarico.
Il passaggio da una categoria all’altra avviene tramite concorso, mentre l’accesso al grado superiore si verifica per promozione, attraverso una selezione eseguita sulla base di criteri meritocratici tra i funzionari che hanno maturato un’anzianità minima.
Tutti i funzionari delle istituzioni comunitarie (fatta eccezione per quelli di grado A1 e A2), sono tenuti ad effettuare un periodo di prova, la cui durata può variare dai sei mesi, per il personale delle categorie C e D, ai nove mesi, per quello delle categorie A, B e CA.
L’avanzamento retributivo avviene automaticamente, con il passare del tempo. Allo stipendio base, fissato da una tabella divisa in scatti, esistente per ogni grado, si aggiungono una serie di indennità e di assegni, fra i quali un’indennità di dislocazione per i funzionari costretti a espatriare a seguito dell’assunzione ed a vari assegni familiari versati mensilmente.
L’attuale disciplina relativa al rapporto di lavoro con le istituzioni comunitarie, contenuta nel regolamento n. 3161/94, si ispira a quella vigente nella maggior parte degli ordinamenti degli Stati membri per il personale delle amministrazioni nazionali.
Il regime del personale comunitario è infatti caratterizzato da regole speciali che si differenziano da quelle che disciplinano il rapporto di lavoro di diritto privato.
I dipendenti delle istituzioni comunitarie sono difatti assoggettati a obblighi particolari e possono godere di speciali privilegi. Tuttavia la disciplina che regola il rapporto di lavoro con le istituzioni comunitarie si discosta dal modello offerto dagli ordinamenti nazionali per alcune caratteristiche peculiari.
Innanzitutto è previsto che il reclutamento dei funzionari di grado più elevato possa avvenire con una procedura diversa dal concorso pubblico. Ciò favorisce il prevalere di criteri discrezionali rispetto a quelli meritocratici, non consentendo l’applicazione del principio della separazione fra politica e amministrazione.
A questo problema si riconnette quello delle quote nazionali, ossia della politica tesa ad assicurare una buona rappresentanza alle varie nazionalità in tutto l’apparato amministrativo comunitario. In pratica la ripartizione geografica dei posti disponibili, la quale condiziona non soltanto le assunzioni, ma anche le promozioni dei funzionari, fa sì che la scelta del personale non sia effettuata soltanto sulla base delle idoneità individuali, concedendo ai governi nazionali la possibilità di incidere sulle scelte dell’amministrazione comunitaria.
Contrariamente a ciò che avviene nelle amministrazioni nazionali, il ruolo delle organizzazioni sindacali appare notevolmente ridotto. Nonostante l’art. 24bis dello Statuto che regola la disciplina del rapporto di lavoro con la Comunità riconosca il diritto di associazione in organizzazioni sindacali, in pratica gli interessi del personale delle istituzioni comunitarie sono per lo più gestiti da comitati, i quali si costituiscono all’interno di ciascuna istituzione.
L’art. 236 del Trattato CE attribuisce alla Corte di Giustizia delle Comunità europee la competenza a pronunciarsi su eventuali controversie che possono sorgere fra la Comunità e i suoi agenti.
Tale competenza include anche le controversie che coinvolgono solo indirettamente le istituzioni comunitarie e il personale impiegato, come ad esempio quelli inerenti la regolarità dell’elezione dei comitati che gestiscono gli interessi dei funzionari.
Nell’intento di rendere più agile il lavoro della Corte è stato in seguito stabilito che questo tipo di contenzioso fosse assegnato alla competenza del Tribunale di primo grado (v.). La Corte di Giustizia sarà pertanto chiamata a pronunciarsi soltanto in caso di impugnazione.