Divieto di discriminazione in base alla nazionalità
Divieto di discriminazione in base alla nazionalità artt. 12 e 39 Trattato CE
Principio fondamentale su cui si basa l’intera attività dell’Unione: ad esso è dedicato l’art. 12 del Trattato CE che attribuisce al Consiglio il potere di prendere le misure necessarie, attraverso la procedura di codecisione (v.), per renderlo effettivo.
Il diritto comunitario sancisce, infatti, l’abolizione di tutte le forme di discriminazione fondate sulla nazionalità, prevedendo la parità di trattamento tra i cittadini degli Stati membri per quel che riguarda l’impiego, la retribuzione, le agevolazioni fiscali e sociali e l’accesso all’istruzione.
Il divieto di discriminazione trova specifica applicazione nell’ambito della libera circolazione dei lavoratori (v.): previsto anche dal regolamento 1612/68, tale divieto è stato oggetto di un’intensa attività giurisprudenziale. La Corte di Giustizia ha, infatti, affermato il divieto non solo delle discriminazioni palesi, ma anche quelle dissimulate, ossia criteri di differenziazione la cui applicazione comporta, di fatto, una diseguaglianza di trattamento.
Il principio trova esplicito richiamo anche in altre disposizioni comunitarie: nell’ambito dell’applicazione del diritto di stabilimento (v.), l’art. 43 vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, e l’art. 48 equipara le società stabilite in un paese della Comunità, conformemente alla legislazione di questo Stato, a quelle nazionali; in materia di libera prestazione di servizi (v.) è previsto il divieto di applicare restrizioni a tale libertà sia per i cittadini degli Stati membri che degli Stati terzi (in quest’ultimo caso su decisione del Consiglio).
Principio fondamentale su cui si basa l’intera attività dell’Unione: ad esso è dedicato l’art. 12 del Trattato CE che attribuisce al Consiglio il potere di prendere le misure necessarie, attraverso la procedura di codecisione (v.), per renderlo effettivo.
Il diritto comunitario sancisce, infatti, l’abolizione di tutte le forme di discriminazione fondate sulla nazionalità, prevedendo la parità di trattamento tra i cittadini degli Stati membri per quel che riguarda l’impiego, la retribuzione, le agevolazioni fiscali e sociali e l’accesso all’istruzione.
Il divieto di discriminazione trova specifica applicazione nell’ambito della libera circolazione dei lavoratori (v.): previsto anche dal regolamento 1612/68, tale divieto è stato oggetto di un’intensa attività giurisprudenziale. La Corte di Giustizia ha, infatti, affermato il divieto non solo delle discriminazioni palesi, ma anche quelle dissimulate, ossia criteri di differenziazione la cui applicazione comporta, di fatto, una diseguaglianza di trattamento.
Il principio trova esplicito richiamo anche in altre disposizioni comunitarie: nell’ambito dell’applicazione del diritto di stabilimento (v.), l’art. 43 vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, e l’art. 48 equipara le società stabilite in un paese della Comunità, conformemente alla legislazione di questo Stato, a quelle nazionali; in materia di libera prestazione di servizi (v.) è previsto il divieto di applicare restrizioni a tale libertà sia per i cittadini degli Stati membri che degli Stati terzi (in quest’ultimo caso su decisione del Consiglio).