Diritti umani
Diritti umani art. 309 Trattato CE; artt. 6-7, 49 Trattato sull’Unione europea
Insieme di diritti essenziali e inalienabili della persona umana, da tutelare in ogni circostanza, senza possibilità di deroga.
Il diritto comunitario (v.) ricomprende in questa formula anche diritti di natura economica, riconosciuti dalle Costituzioni di alcuni Stati membri o da Convenzioni internazionali.
Tuttavia l’assenza di disposizioni volte a tutelare i diritti fondamentali dell’uomo ha costituito per anni uno degli aspetti più controversi di tutto il processo di integrazione comunitario. Questa lacuna aveva suscitato non poche perplessità nei diversi Stati; l’attribuzione alla Comunità di ampi poteri in materie che toccavano direttamente la vita dei cittadini europei, non trovava alcun rimedio giurisdizionale nell’ipotesi in cui con gli atti comunitari fossero stati violati diritti fondamentali dell’uomo.
Questa grave lacuna era stata parzialmente colmata dalla Corte di giustizia fin dal 1969 quando, con la sentenza Stauder, affermava l’esigenza che “la tutela dei diritti fondamentali costituisca parte integrante dei principi generali di cui la Corte garantisce l’osservanza”; la Corte infatti si ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e non può ammettere provvedimenti incompatibili con i diritti fondamentali riconosciuti dalle Costituzioni di tali Stati o dalle Convenzioni internazionali da essi stipulate.
Infatti, il controllo della Corte, in tema di diritti umani, investe tutti gli atti comunitari, gli atti o i comportamenti nazionali che danno attuazione al diritto comunitario, nonché le giustificazioni addotte da uno Stato membro per una misura nazionale incompatibile con il diritto comunitario.
Nonostante il fondamentale principio affermato dalla Corte, della tutela dei diritti umani continuava a non esservi traccia nei trattati istitutivi (tema ignorato anche dall’Atto Unico europeo del 1986). Soltanto con il Trattato di Maastricht (v.) fu approvato l’articolo F (l’attuale articolo 6) nel quale si afferma che “l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (v. CEDU) firmata a Roma il 4 novembre 1950 e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario”.
Il Trattato di Maastricht non chiariva, tuttavia, a chi sarebbe spettato il compito di garantire l’osservanza di tali diritti.
Pur impegnandosi a rispettare i diritti garantiti dalla Convenzione del 1950 l’Unione europea non ne faceva parte, ragion per cui i cittadini non potevano avvalersi del particolare meccanismo di tutela istituito da quella Convenzione. Né tantomeno tale compito era stato esplicitamente attribuito alla Corte di giustizia.
La lacuna è stata colmata soltanto con il Trattato di Amsterdam (v.) che, oltre ad aver chiarito al paragrafo 1 dell’articolo 6 che “l’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri”, ha anche modificato l’articolo 46 del Trattato sull’Unione europea, specificando che la funzione giurisdizionale della Corte si estende anche all’attività delle istituzioni nell’ottica di verificare il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo garantiti attraverso il richiamo (operato dal paragrafo 2 dell’articolo 6) alla Convenzione europea dei diritti umani.
Sull’argomento, tuttavia, il Trattato di Amsterdam ha introdotto anche altre rilevanti novità.
In primo luogo nell’articolo del Trattato di Maastricht relativo all’adesione di nuovi Stati (articolo 49) tra i requisiti per poter aderire è esplicitamente richiamato il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo (“ogni Stato europeo che rispetti i principi sanciti dall’articolo 6, paragrafo 1, può domandare di diventare membro dell’Unione”).
In secondo luogo è stata introdotta una procedura sanzionatoria nei confronti di quegli Stati membri che non rispettano i principi sanciti dall’articolo 6, paragrafo 1. Secondo quanto disposto dall’articolo 7, infatti, il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo, può constatare “una violazione grave e persistente” dei diritti fondamentali dell’uomo da parte di uno Stato membro e decidere di sospendere alcuni dei diritti previsti dai trattati comunitari, ivi incluso il diritto di voto in seno al Consiglio dell’Unione.
Una disposizione dal contenuto quasi identico è prevista nell’articolo 309 del Trattato della Comunità europea.
Tra i diritti fondamentali che la Corte ha richiamato in alcune pronunce, vanno ricordati il diritto di proprietà ed il diritto al libero esercizio di un’attività economica o professionale, l’irretroattività delle norme penali, il rispetto dei diritti di difesa, il diritto al rispetto della vita privata, l’inviolabilità del domicilio. Un cenno a parte merita poi il riconoscimento del principio, rinvenibile anche agli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, del diritto alla tutela giurisdizionale piena ed effettiva.
Insieme di diritti essenziali e inalienabili della persona umana, da tutelare in ogni circostanza, senza possibilità di deroga.
Il diritto comunitario (v.) ricomprende in questa formula anche diritti di natura economica, riconosciuti dalle Costituzioni di alcuni Stati membri o da Convenzioni internazionali.
Tuttavia l’assenza di disposizioni volte a tutelare i diritti fondamentali dell’uomo ha costituito per anni uno degli aspetti più controversi di tutto il processo di integrazione comunitario. Questa lacuna aveva suscitato non poche perplessità nei diversi Stati; l’attribuzione alla Comunità di ampi poteri in materie che toccavano direttamente la vita dei cittadini europei, non trovava alcun rimedio giurisdizionale nell’ipotesi in cui con gli atti comunitari fossero stati violati diritti fondamentali dell’uomo.
Questa grave lacuna era stata parzialmente colmata dalla Corte di giustizia fin dal 1969 quando, con la sentenza Stauder, affermava l’esigenza che “la tutela dei diritti fondamentali costituisca parte integrante dei principi generali di cui la Corte garantisce l’osservanza”; la Corte infatti si ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e non può ammettere provvedimenti incompatibili con i diritti fondamentali riconosciuti dalle Costituzioni di tali Stati o dalle Convenzioni internazionali da essi stipulate.
Infatti, il controllo della Corte, in tema di diritti umani, investe tutti gli atti comunitari, gli atti o i comportamenti nazionali che danno attuazione al diritto comunitario, nonché le giustificazioni addotte da uno Stato membro per una misura nazionale incompatibile con il diritto comunitario.
Nonostante il fondamentale principio affermato dalla Corte, della tutela dei diritti umani continuava a non esservi traccia nei trattati istitutivi (tema ignorato anche dall’Atto Unico europeo del 1986). Soltanto con il Trattato di Maastricht (v.) fu approvato l’articolo F (l’attuale articolo 6) nel quale si afferma che “l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (v. CEDU) firmata a Roma il 4 novembre 1950 e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario”.
Il Trattato di Maastricht non chiariva, tuttavia, a chi sarebbe spettato il compito di garantire l’osservanza di tali diritti.
Pur impegnandosi a rispettare i diritti garantiti dalla Convenzione del 1950 l’Unione europea non ne faceva parte, ragion per cui i cittadini non potevano avvalersi del particolare meccanismo di tutela istituito da quella Convenzione. Né tantomeno tale compito era stato esplicitamente attribuito alla Corte di giustizia.
La lacuna è stata colmata soltanto con il Trattato di Amsterdam (v.) che, oltre ad aver chiarito al paragrafo 1 dell’articolo 6 che “l’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri”, ha anche modificato l’articolo 46 del Trattato sull’Unione europea, specificando che la funzione giurisdizionale della Corte si estende anche all’attività delle istituzioni nell’ottica di verificare il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo garantiti attraverso il richiamo (operato dal paragrafo 2 dell’articolo 6) alla Convenzione europea dei diritti umani.
Sull’argomento, tuttavia, il Trattato di Amsterdam ha introdotto anche altre rilevanti novità.
In primo luogo nell’articolo del Trattato di Maastricht relativo all’adesione di nuovi Stati (articolo 49) tra i requisiti per poter aderire è esplicitamente richiamato il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo (“ogni Stato europeo che rispetti i principi sanciti dall’articolo 6, paragrafo 1, può domandare di diventare membro dell’Unione”).
In secondo luogo è stata introdotta una procedura sanzionatoria nei confronti di quegli Stati membri che non rispettano i principi sanciti dall’articolo 6, paragrafo 1. Secondo quanto disposto dall’articolo 7, infatti, il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo, può constatare “una violazione grave e persistente” dei diritti fondamentali dell’uomo da parte di uno Stato membro e decidere di sospendere alcuni dei diritti previsti dai trattati comunitari, ivi incluso il diritto di voto in seno al Consiglio dell’Unione.
Una disposizione dal contenuto quasi identico è prevista nell’articolo 309 del Trattato della Comunità europea.
Tra i diritti fondamentali che la Corte ha richiamato in alcune pronunce, vanno ricordati il diritto di proprietà ed il diritto al libero esercizio di un’attività economica o professionale, l’irretroattività delle norme penali, il rispetto dei diritti di difesa, il diritto al rispetto della vita privata, l’inviolabilità del domicilio. Un cenno a parte merita poi il riconoscimento del principio, rinvenibile anche agli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, del diritto alla tutela giurisdizionale piena ed effettiva.