Direttiva

Direttiva art. 249 Trattato CE; art. 161 Trattato Euratom

È un atto vincolante (v.) delle istituzioni comunitarie previsto dall’art. 249 del Trattato istitutivo della Comunità europea il quale stabilisce che le direttive vincolano lo Stato membro cui sono rivolte per quanto riguarda il risultato da raggiungere.
Requisiti formali della direttiva sono:
— la portata individuale. Esse hanno come destinatari gli Stati membri (e le imprese nella CECA). A tal proposito le direttive si distinguono in:
a) generali, se indirizzate a tutti gli Stati membri;
b) individuali o particolari, se indirizzate ad uno o ad alcuni di essi;
— l’obbligatorietà di risultato. A differenza dei regolamenti comunitari (v.) e delle decisioni (v.), le direttive impongono solo l’obbligo di raggiungere un risultato, lasciando liberi gli Stati di adottare le misure dagli stessi ritenute opportune;
— la motivazione. Le direttive devono essere motivate e devono riferirsi ai pareri (v.) obbligatori o alle proposte previsti dal Trattato.
A causa del loro carattere individuale questi atti devono essere notificati ai destinatari e acquistano efficacia dalla data della notifica (v.) o da una data successiva, se indicata; è tuttavia invalsa la prassi di pubblicarle anche sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità (v. GUCE), oltre naturalmente a notificarle.
Inoltre le direttive fissano un termine per la loro attuazione. Pertanto, se gli Stati membri entro detto termine non adottano le misure interne di esecuzione, commettono una violazione del trattato ai sensi dell’art. 226.
Per quanto riguarda l’efficacia, le direttive, secondo l’art. 249, non hanno efficacia diretta (v. Diretta applicabilità del diritto comunitario), cioè non producono diritti ed obblighi che i giudici nazionali devono far osservare. Perciò la dottrina (POCAR) sostiene che le direttive non sono direttamente applicabili, ma hanno un’efficacia mediata attraverso i provvedimenti che gli Stati intenderanno adottare, nel rispetto dei principi fondamentali del Trattato.
Si può ritenere che si possa parlare di efficacia diretta delle direttive quando queste ultime:
— impongono al destinatario del provvedimento di tenere un comportamento di carattere negativo: in tal caso, infatti, non è necessario nessun provvedimento di esecuzione;
— ribadiscono un obbligo già previsto dal Trattato e quindi già produttivo di effetti, specificandone solo la portata e i tempi di attuazione;
— contengono con precisione le norme interne che gli Stati sono tenuti ad adottare (v. Direttiva dettagliata).
Nell’ordinamento italiano le direttive sono state di regola recepite attraverso leggi ordinarie di esecuzione per ciascun provvedimento comunitario, modificando in tal modo norme già esistenti o introducendone di nuove. Questa procedura non ha creato difficoltà fino al 1985, dato l’esiguo numero di direttive emanate; con l’adozione del Libro bianco sul completamento del mercato interno (v.), il numero dei provvedimenti comunitari da trasferire nell’ordinamento italiano cresceva sensibilmente, rivelando l’inadeguatezza della procedura in vigore. Si è così proceduto, in applicazione dell’art. 76 della Costituzione, all’attuazione delle disposizioni legislative comunitarie anche mediante leggi delega al Governo, che avrebbe emanato l’atto normativo (decreto legislativo, regolamento, decreto del Presidente della Repubblica) necessario, data la natura della materia oggetto di direttiva.
Ma per recuperare il ritardo accumulato dall’ordinamento italiano nel recepimento delle direttive comunitarie, si è proceduto alla razionalizzazione di tale sistema con l’emanazione della L. 9 marzo 1989, n. 86, la cosiddetta Legge La Pergola (v.), che ha stabilito le norme generali del sistema di recepimento delle direttive comunitarie e ha disposto l’emanazione della legge comunitaria (v.).