Diretta applicabilità del diritto comunitario
Diretta applicabilità del diritto comunitario art. 249 Trattato CE
È un principio in base al quale qualora una disposizione del Trattato CE o di un atto comunitario (v. Atti giuridici comunitari) presenta determinate caratteristiche, esso crea diritti e obblighi in favore dei privati, i quali sono legittimati ad esigere, davanti alle giurisdizioni nazionali, la stessa tutela riconosciuta per i diritti di cui sono titolari in base alle norme dettate dall’ordinamento interno.
Ovviamente tale principio ha assunto un’importanza fondamentale soprattutto nella valutazione di atti comunitari diversi dai regolamenti: per questi ultimi, infatti, è lo stesso trattato che all’art. 249 prevede che essi siano obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri.
Diverso è, invece, il discorso che riguarda le singole disposizioni dei Trattati istitutivi, nonché le direttive e le decisioni; in questi casi la diretta applicabilità è stata riconosciuta soltanto attraverso una costante giurisprudenza della Corte di Giustizia in tal senso.
Per quanto riguarda la diretta applicabilità di alcune disposizioni dei trattati istitutivi la Corte ha avuto modo di pronunciarsi in diverse occasioni sull’argomento, individuando di volta in volta disposizioni ad efficacia diretta.
La Corte ha ad esempio stabilito:
— nella sentenza Van Gend & Loos (v.) che l’art. 12 (ora art. 25), in materia di dazi doganali e tasse di effetto equivalente, ha valore precettivo attribuendo ai singoli dei diritti soggettivi che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare;
— nella sentenza Van Duyn (v.), del 4 dicembre 1974, che la riserva sancita al n. 3 dell’art. 48 (ora art. 39) (limitazione della libera circolazione dei lavoratori per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica) non osta a che le norme dello stesso articolo attribuiscano in capo ai singoli diritti soggettivi da far valere in giudizio;
— nella sentenza Reyners, del 21 giugno 1994, che l’art. 52 (ora art. 43), sancendo alla fine del periodo transitorio la realizzazione della piena libertà di stabilimento e prescrivendo un obbligo di risultato preciso, è una norma direttamente efficace;
— nella sentenza Van Binsbergen, del 3 dicembre 1974, che gli artt. 59, par. 1 (ora art. 49), e 60, par. 3 (ora art. 50), nella parte in cui stabiliscono la soppressione delle discriminazioni che colpiscono il prestatore di servizi a causa della sua nazionalità o della sua residenza, hanno efficacia diretta e possono essere fatti valere dinanzi a giudici nazionali;
— nella sentenza Defrenne, dell’8 aprile 1976, che il principio della parità di retribuzione fra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile stabilito dall’art. 119 (ora art. 141) fa parte dei principi fondamentali della Comunità e pertanto può essere fatto valere dinanzi a giudici nazionali.
In sostanza con le sue costanti pronunce in materia, la Corte ha affermato che l’ordinamento giuridico comunitario, riconoscendo come soggetti non solo gli Stati membri, ma anche i singoli cittadini, impone degli obblighi così come attribuisce loro diritti soggettivi.
Molto controversa è la possibilità di una diretta applicabilità delle direttive, atti che, a norma dell’art. 249 del trattato, necessitano di una disposizione nazionale di recepimento al fine di esplicare pienamente i loro effetti.
Anche in questo caso la Corte si è pronunciata, entro certi limiti, per la diretta applicabilità allorquando:
— l’interpretazione di norme nazionali che disciplinano materie oggetto di direttive comunitarie è dubbia (in questo caso la norma deve conformarsi al contenuto della direttiva);
— la direttiva chiarisce il contenuto di un obbligo già previsto dal trattato;
— la direttiva, nell’imporre l’obbligo del risultato, non implica necessariamente l’emanazione di specifici atti di esecuzione (per esempio l’obbligo di applicare un determinato principio), per cui in caso di inerzia dello Stato gli individui possono invocare la direttiva dinanzi ai giudici per fare valere gli effetti che questa si propone (nell’esempio, richiedere l’applicazione del principio) (CONFORTI).
In ogni caso l’efficacia diretta delle direttive riguarda sempre i rapporti tra i cittadini e lo Stato (effetto verticale delle direttive) e solo nei casi in cui l’ordinamento comunitario prevede norme più favorevoli per i cittadini rispetto alla normativa interna che non è stata adeguata.
Ciò comporta in primo luogo che, decorso inutilmente il termine fissato per dare attuazione alla direttiva, i singoli possono far valere in giudizio i diritti precisi ed incondizionati che derivano loro dalla direttiva ed i giudici devono accogliere una simile richiesta. In secondo luogo, per le autorità nazionali sussiste il divieto di opporre qualunque disposizione interna non conforme ad una disposizione della direttiva che imponga obblighi precisi ed incondizionati.
Per contro, la Corte ha ribadito l’assenza di qualsiasi effetto orizzontale delle direttive, vale a dire la possibilità che queste possano esplicare effetti tra privati pur mancando una disposizione nazionale di recepimento. La responsabilità è, infatti, configurabile solo in capo allo Stato e solo a quest’ultimo si impone l’obbligo dell’eventuale risarcimento del danno causato. In assenza di provvedimenti di attuazione entro i termini prescritti, un privato non può fondare su una direttiva un diritto nei confronti di un altro privato, né può farlo valere dinanzi a un giudice nazionale.
Per quanto riguarda le decisioni, il trattato istitutivo tace in materia di efficacia all’interno degli Stati membri, sancendo soltanto la loro obbligatorietà per i destinatari ai sensi dell’art. 249, par. 4. La maggior parte della dottrina ha quindi elaborato la tesi secondo cui l’efficacia dipende dal tipo di decisione considerata.
Se la decisione, infatti, ha come destinatari individui singoli, essa è obiettivamente efficace anche per il carattere di atto amministrativo che assume (POCAR).
Se invece la decisione è rivolta agli Stati membri, questi sono obbligati ad adottare provvedimenti di attuazione, ma, a differenza delle direttive, non sono liberi di scegliere la forma o il mezzo di esecuzione, essendo tutto ciò già previsto dalla decisione.
È proprio questo aspetto che rende la decisione obiettivamente efficace e immediatamente applicabile (POCAR).
È un principio in base al quale qualora una disposizione del Trattato CE o di un atto comunitario (v. Atti giuridici comunitari) presenta determinate caratteristiche, esso crea diritti e obblighi in favore dei privati, i quali sono legittimati ad esigere, davanti alle giurisdizioni nazionali, la stessa tutela riconosciuta per i diritti di cui sono titolari in base alle norme dettate dall’ordinamento interno.
Ovviamente tale principio ha assunto un’importanza fondamentale soprattutto nella valutazione di atti comunitari diversi dai regolamenti: per questi ultimi, infatti, è lo stesso trattato che all’art. 249 prevede che essi siano obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri.
Diverso è, invece, il discorso che riguarda le singole disposizioni dei Trattati istitutivi, nonché le direttive e le decisioni; in questi casi la diretta applicabilità è stata riconosciuta soltanto attraverso una costante giurisprudenza della Corte di Giustizia in tal senso.
Per quanto riguarda la diretta applicabilità di alcune disposizioni dei trattati istitutivi la Corte ha avuto modo di pronunciarsi in diverse occasioni sull’argomento, individuando di volta in volta disposizioni ad efficacia diretta.
La Corte ha ad esempio stabilito:
— nella sentenza Van Gend & Loos (v.) che l’art. 12 (ora art. 25), in materia di dazi doganali e tasse di effetto equivalente, ha valore precettivo attribuendo ai singoli dei diritti soggettivi che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare;
— nella sentenza Van Duyn (v.), del 4 dicembre 1974, che la riserva sancita al n. 3 dell’art. 48 (ora art. 39) (limitazione della libera circolazione dei lavoratori per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica) non osta a che le norme dello stesso articolo attribuiscano in capo ai singoli diritti soggettivi da far valere in giudizio;
— nella sentenza Reyners, del 21 giugno 1994, che l’art. 52 (ora art. 43), sancendo alla fine del periodo transitorio la realizzazione della piena libertà di stabilimento e prescrivendo un obbligo di risultato preciso, è una norma direttamente efficace;
— nella sentenza Van Binsbergen, del 3 dicembre 1974, che gli artt. 59, par. 1 (ora art. 49), e 60, par. 3 (ora art. 50), nella parte in cui stabiliscono la soppressione delle discriminazioni che colpiscono il prestatore di servizi a causa della sua nazionalità o della sua residenza, hanno efficacia diretta e possono essere fatti valere dinanzi a giudici nazionali;
— nella sentenza Defrenne, dell’8 aprile 1976, che il principio della parità di retribuzione fra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile stabilito dall’art. 119 (ora art. 141) fa parte dei principi fondamentali della Comunità e pertanto può essere fatto valere dinanzi a giudici nazionali.
In sostanza con le sue costanti pronunce in materia, la Corte ha affermato che l’ordinamento giuridico comunitario, riconoscendo come soggetti non solo gli Stati membri, ma anche i singoli cittadini, impone degli obblighi così come attribuisce loro diritti soggettivi.
Molto controversa è la possibilità di una diretta applicabilità delle direttive, atti che, a norma dell’art. 249 del trattato, necessitano di una disposizione nazionale di recepimento al fine di esplicare pienamente i loro effetti.
Anche in questo caso la Corte si è pronunciata, entro certi limiti, per la diretta applicabilità allorquando:
— l’interpretazione di norme nazionali che disciplinano materie oggetto di direttive comunitarie è dubbia (in questo caso la norma deve conformarsi al contenuto della direttiva);
— la direttiva chiarisce il contenuto di un obbligo già previsto dal trattato;
— la direttiva, nell’imporre l’obbligo del risultato, non implica necessariamente l’emanazione di specifici atti di esecuzione (per esempio l’obbligo di applicare un determinato principio), per cui in caso di inerzia dello Stato gli individui possono invocare la direttiva dinanzi ai giudici per fare valere gli effetti che questa si propone (nell’esempio, richiedere l’applicazione del principio) (CONFORTI).
In ogni caso l’efficacia diretta delle direttive riguarda sempre i rapporti tra i cittadini e lo Stato (effetto verticale delle direttive) e solo nei casi in cui l’ordinamento comunitario prevede norme più favorevoli per i cittadini rispetto alla normativa interna che non è stata adeguata.
Ciò comporta in primo luogo che, decorso inutilmente il termine fissato per dare attuazione alla direttiva, i singoli possono far valere in giudizio i diritti precisi ed incondizionati che derivano loro dalla direttiva ed i giudici devono accogliere una simile richiesta. In secondo luogo, per le autorità nazionali sussiste il divieto di opporre qualunque disposizione interna non conforme ad una disposizione della direttiva che imponga obblighi precisi ed incondizionati.
Per contro, la Corte ha ribadito l’assenza di qualsiasi effetto orizzontale delle direttive, vale a dire la possibilità che queste possano esplicare effetti tra privati pur mancando una disposizione nazionale di recepimento. La responsabilità è, infatti, configurabile solo in capo allo Stato e solo a quest’ultimo si impone l’obbligo dell’eventuale risarcimento del danno causato. In assenza di provvedimenti di attuazione entro i termini prescritti, un privato non può fondare su una direttiva un diritto nei confronti di un altro privato, né può farlo valere dinanzi a un giudice nazionale.
Per quanto riguarda le decisioni, il trattato istitutivo tace in materia di efficacia all’interno degli Stati membri, sancendo soltanto la loro obbligatorietà per i destinatari ai sensi dell’art. 249, par. 4. La maggior parte della dottrina ha quindi elaborato la tesi secondo cui l’efficacia dipende dal tipo di decisione considerata.
Se la decisione, infatti, ha come destinatari individui singoli, essa è obiettivamente efficace anche per il carattere di atto amministrativo che assume (POCAR).
Se invece la decisione è rivolta agli Stati membri, questi sono obbligati ad adottare provvedimenti di attuazione, ma, a differenza delle direttive, non sono liberi di scegliere la forma o il mezzo di esecuzione, essendo tutto ciò già previsto dalla decisione.
È proprio questo aspetto che rende la decisione obiettivamente efficace e immediatamente applicabile (POCAR).