Cambio fisso

Cambio fisso

Regime di cambio in cui il tasso di cambio (v.) tra le valute di due o più paesi viene fissato sulla base di parità monetarie prestabilite o comunque oscillanti entro limiti molto ristretti.
Il regime a cambi fissi ha caratterizzato il sistema monetario internazionale dalla metà dell’Ottocento fino alla seconda guerra mondiale. Dopo il conflitto, gli accordi di Bretton Woods (v.) imposero come valuta di riferimento il dollaro, rispetto al quale le autorità monetarie (v.) degli altri paesi intervenivano per garantire la parità con la propria valuta entro una banda di oscillazione molto esigua (intorno all’1%).
Il sistema a cambi fissi disegnato a Bretton Woods rimase in vigore fino al 15 agosto 1971, quando gli USA dichiararono l’inconvertibilità in oro del dollaro. Dopo il fallimento degli accordi Smithsoniani, nel 1973, il regime dei cambi fissi fu definitivamente abbandonato.
Il sistema del cambio fisso comporta l’obbligo delle banche centrali (v. BCN) di intervenire ogni qualvolta la valuta del rispettivo paese subisce oscillazioni superiori al minimo consentito. Adottando il cambio fisso le autorità monetarie si prefiggono lo scopo di stabilizzare i tassi di cambio in modo da scoraggiare gli speculatori al rialzo od al ribasso ed infondere, così, certezza nell’economia.
Proprio la certezza sui mercati valutari è considerata il principale vantaggio di tale regime, che permette lo sviluppo del commercio e degli investimenti internazionali in assenza di rischi di cambio. Le critiche si fondano, invece, sulla rigidità del sistema economico orientato prevalentemente a rispettare la parità dichiarata a costo di sacrificare importanti obiettivi interni, ed esposto, comunque, a rischi inflazionistici.