Avvocato europeo
Avvocato europeo Direttiva 22 marzo 1977, n. 77/249/CEE; Direttiva 21 dicembre 1988, n. 88/48/CEE; Direttiva 16 febbraio 1998, n. 98/5/CE
Questa connotazione individua la figura del libero professionista, pienamente inserito nel circuito europeo in seguito all’apertura delle frontiere.
Non si tratta di una semplice trasposizione a livello europeo del professionista nazionale: l’avvocato europeo, al contrario, presuppone una diversa formazione professionale e, soprattutto, una rinnovata mentalità che lo metta in grado di essere realmente un cittadino europeo.
Caratteristiche fondamentali di questa figura sono:
— l’interdisciplinarietà delle cognizioni: l’avvocato europeo non deve limitarsi a conoscere solo la branca circoscritta in cui è specializzato, ma deve spaziare nella conoscenza di elementi di ragioneria, economia, diritto comparato, sistemi giuridici contemporanei e lingue straniere;
— la conoscenza della legge, in funzione di consulenza extragiudiziale, non solo di difesa in giudizio. Più specificamente, un cliente di media estrazione sociale deve potersi rivolgere all’avvocato europeo in funzione preventiva, per farsi illuminare sulla conoscenza della legge ed evitare di infrangerla, non solo per farsi difendere in giudizio una volta commessa la violazione.
Per l’attuazione della libera prestazione dei servizi (v.) e del diritto di stabilimento (v.) in relazione alla professione di avvocato, si sono susseguite diverse direttive comunitarie:
— la 77/249, che permette ad un avvocato non residente e iscritto all’Albo del suo paese di origine di esercitare a titolo temporaneo in un paese della Comunità diverso da quello di provenienza. Per poter esercitare tale attività stabilmente, invece, si richiede una nuova laurea nel paese ospitante;
— la 89/48, che subordina l’esercizio della libera professione stabilmente in uno Stato comunitario, diverso da quello di origine, ad una prova attitudinale, che accerti l’idoneità e le conoscenza del professionista. La determinazione delle modalità e dell’ambito di tale prova è riservata ai Consigli degli ordini professionali;
— la 98/5 (nota come Avvocati senza frontiere) abolisce il ricorso alla prova attitudinale prevista dalla direttiva 89/48 qualora il professionista sia in grado di dimostrare di aver effettivamente praticato la professione per tre anni occupandosi della legislazione dello Stato ospitante, anche se per questioni inerenti il diritto comunitario.
Il paese europeo di stabilimento è tenuto a riconoscere ad ogni avvocato il diritto di esercitare la professione fregiandosi del titolo del paese d’origine. Egli potrà offrire consulenza legale sul diritto del proprio Stato, sul diritto comunitario, sul diritto internazionale e sul diritto dello Stato membro ospitante.
La direttiva ha inoltre dato via libera all’esercizio in forma societaria della professione forense, disponendo che lo Stato d’accoglienza può limitare tale esercizio solo nel caso in cui l’indipendenza della professione ne risulti compromessa.
Questa connotazione individua la figura del libero professionista, pienamente inserito nel circuito europeo in seguito all’apertura delle frontiere.
Non si tratta di una semplice trasposizione a livello europeo del professionista nazionale: l’avvocato europeo, al contrario, presuppone una diversa formazione professionale e, soprattutto, una rinnovata mentalità che lo metta in grado di essere realmente un cittadino europeo.
Caratteristiche fondamentali di questa figura sono:
— l’interdisciplinarietà delle cognizioni: l’avvocato europeo non deve limitarsi a conoscere solo la branca circoscritta in cui è specializzato, ma deve spaziare nella conoscenza di elementi di ragioneria, economia, diritto comparato, sistemi giuridici contemporanei e lingue straniere;
— la conoscenza della legge, in funzione di consulenza extragiudiziale, non solo di difesa in giudizio. Più specificamente, un cliente di media estrazione sociale deve potersi rivolgere all’avvocato europeo in funzione preventiva, per farsi illuminare sulla conoscenza della legge ed evitare di infrangerla, non solo per farsi difendere in giudizio una volta commessa la violazione.
Per l’attuazione della libera prestazione dei servizi (v.) e del diritto di stabilimento (v.) in relazione alla professione di avvocato, si sono susseguite diverse direttive comunitarie:
— la 77/249, che permette ad un avvocato non residente e iscritto all’Albo del suo paese di origine di esercitare a titolo temporaneo in un paese della Comunità diverso da quello di provenienza. Per poter esercitare tale attività stabilmente, invece, si richiede una nuova laurea nel paese ospitante;
— la 89/48, che subordina l’esercizio della libera professione stabilmente in uno Stato comunitario, diverso da quello di origine, ad una prova attitudinale, che accerti l’idoneità e le conoscenza del professionista. La determinazione delle modalità e dell’ambito di tale prova è riservata ai Consigli degli ordini professionali;
— la 98/5 (nota come Avvocati senza frontiere) abolisce il ricorso alla prova attitudinale prevista dalla direttiva 89/48 qualora il professionista sia in grado di dimostrare di aver effettivamente praticato la professione per tre anni occupandosi della legislazione dello Stato ospitante, anche se per questioni inerenti il diritto comunitario.
Il paese europeo di stabilimento è tenuto a riconoscere ad ogni avvocato il diritto di esercitare la professione fregiandosi del titolo del paese d’origine. Egli potrà offrire consulenza legale sul diritto del proprio Stato, sul diritto comunitario, sul diritto internazionale e sul diritto dello Stato membro ospitante.
La direttiva ha inoltre dato via libera all’esercizio in forma societaria della professione forense, disponendo che lo Stato d’accoglienza può limitare tale esercizio solo nel caso in cui l’indipendenza della professione ne risulti compromessa.