Armonizzazione fiscale
Armonizzazione fiscale art. 93 Trattato CE; Direttiva 23 luglio 1990, n. 90/434/CEE; Direttiva 23 luglio 1990, n. 90/435/CEE; Direttiva 16 dicembre 1991, n. 91/680/CEE; Direttiva 19 ottobre 1992, n. 92/77/CEE; Regolamento CEE 27 dicembre 1992, n. 218/92
Processo di convergenza e coordinamento in materia fiscale dei paesi della Comunità europea al fine di realizzare congiuntamente il mercato unico (v.).
Il processo evolutivo verso la completa armonizzazione fiscale, doveva articolarsi in tre fasi: abolizione dei dazi doganali (v.), armonizzazione dell’IVA (v.) e delle accise (v.), armonizzazione delle imposte dirette. Le prime due fasi sono state attuate, mentre l’ultima appare ancora lontana, per i mutamenti che implica nelle scelte politiche ed economiche di ciascuno Stato.
In materia di IVA il Trattato CE adottò il principio della tassazione nel paese di destinazione (v.) quale criterio di base dell’imposizione negli Stati membri delle merci in transito nel territorio comunitario (v.).
Il Libro bianco sul completamento del mercato interno (v.) dell’85 avanzò, poi, proposte sostanziali in materia di IVA ed accise. Per l’IVA veniva proposto il sistema di tassazione nel paese d’origine (v.), in modo che il gettito del tributo affluisse al paese produttore delle merci.
Le imprese esportatrici potevano dedurre tutta l’imposta pagata nel loro Stato e non era più necessario un controllo fiscale alla frontiera.
In tal modo si poteva realizzare (per il 1992) l’abolizione non solo delle barriere doganali ma anche di quelle tributarie, in linea con gli obiettivi stabiliti nell’Atto Unico Europeo.
Questo obiettivo è stato raggiunto attraverso la Direttiva 91/680 che ha modificato la VI Direttiva IVA. Essa prevedeva inizialmente un regime transitorio per il quadriennio 1993-1997 caratterizzato dall’applicazione dell’attuale sistema di tassazione ai fini IVA, cioè quello del paese di destinazione; successivamente è stato deciso di prorogare tale regime fino al 2000.
La maggiore novità consiste nel venir meno, già dal periodo transitorio ed in coincidenza con l’abolizione delle barriere doganali, della riscossione dell’IVA nelle importazioni intracomunitarie.
Naturalmente sono previste nuove modalità di verifica concernenti la documentazione cui le imprese sono tenute. Essa è costituita dalle dichiarazioni trimestrali, dalle fatture e dall’attribuzione ad ogni impresa di un codice IVA. Tutto ciò allo scopo di consentire controlli e scambi di informazioni tra gli Stati membri. I meccanismi di verifica atti ad evitare le frodi fiscali si fondano essenzialmente sul regolamento 218/92.
Le aliquote IVA attualmente previste dai diversi Stati membri sono state uniformate dalla direttiva 92/77 e sono in vigore fino allo scadere del periodo transitorio. In particolare tale direttiva prevede:
— l’obbligo di applicare un’aliquota ordinaria inferiore al 15%;
— il contenimento delle aliquote ridotte al numero di due, non inferiori al 5%;
— la facoltà di applicare una aliquota ancora più ridotta per alcuni beni individuati in un allegato alla direttiva in esame;
— l’obbligo di applicare, nel periodo transitorio, un’aliquota ridotta non inferiore al 12%;
— la soppressione delle aliquote maggiorate applicate da alcuni Stati (come l’Italia che prevedeva un’aliquota del 38%).
In materia di accise (v.), il regime attuale di riscossione adotta una diversa applicazione della stessa differenziandosi in base al momento in cui colpisce la merce acquistata.
L’armonizzazione delle imposte dirette nella Comunità europea appare, invece, ancora molto lontana, soprattutto perché implica il ridimensionamento del più importante strumento di manovra economica oggi a disposizione dei governi nazionali.
L’unico settore in cui si è pervenuti ad una seppur minima armonizzazione è quello della tassazione degli utili societari e ciò al fine di evitare la doppia imposizione dei medesimi redditi in paesi diversi. Le direttive emanate sono:
— la direttiva 90/434 con la quale è stato disciplinato il regime fiscale delle fusioni, scissioni e conferimento d’attivo tra società appartenenti a Stati diversi. Obiettivo della direttiva è quello di istituire un regime fiscale unico per le operazioni transfrontaliere nel caso in cui emergano delle plusvalenze;
— la direttiva 90/435 che disciplina il regime fiscale da applicarsi alle società “madre e figlia” stabilite in Stati diversi.
Scopo della direttiva è quello di evitare che gli utili della stessa società siano tassati due volte: una prima nello Stato in cui sono realizzati e una seconda nello Stato in cui sono trasferiti, allorché vengono conferiti alla società controllante.
La norma prevede che gli utili della società controllata (figlia) vengano tassati alla fonte, mentre lo Stato in cui ha sede la società controllante (madre) può:
a) non tassare i dividendi percepiti dalla società figlia;
b) concedere un credito d’imposta per gli utili conseguiti dalla società controllata.
Un terzo provvedimento (non emanato dalle istituzioni comunitarie, ma frutto di un accordo intergovernativo) introduce una procedura arbitrale per risolvere i conflitti tra le diverse amministrazioni tributarie, qualora sorgano delle dispute con riguardo agli utili da attribuire a società madri e figlie (v. Transfer princing).
Infine, in tema di armonizzazioni fiscale, importanti novità sono contenute nel cosiddetto pacchetto Monti (dal nome del Commissario proponente) approvato globalmente dal Consiglio dei ministri fiscali alla fine del 1997.
Il pacchetto, oltre a proporre l’adozione di un codice di condotta fiscale (v.), prevede anche:
— una proposta di direttiva sulla tassazione del risparmio che riguardi solo gli interessi percepiti da cittadini comunitari non residenti;
— una proposta di direttiva che contenga misure volte all’abolizione della ritenuta alla fonte su interessi e royalty tra imprese consociate.
Processo di convergenza e coordinamento in materia fiscale dei paesi della Comunità europea al fine di realizzare congiuntamente il mercato unico (v.).
Il processo evolutivo verso la completa armonizzazione fiscale, doveva articolarsi in tre fasi: abolizione dei dazi doganali (v.), armonizzazione dell’IVA (v.) e delle accise (v.), armonizzazione delle imposte dirette. Le prime due fasi sono state attuate, mentre l’ultima appare ancora lontana, per i mutamenti che implica nelle scelte politiche ed economiche di ciascuno Stato.
In materia di IVA il Trattato CE adottò il principio della tassazione nel paese di destinazione (v.) quale criterio di base dell’imposizione negli Stati membri delle merci in transito nel territorio comunitario (v.).
Il Libro bianco sul completamento del mercato interno (v.) dell’85 avanzò, poi, proposte sostanziali in materia di IVA ed accise. Per l’IVA veniva proposto il sistema di tassazione nel paese d’origine (v.), in modo che il gettito del tributo affluisse al paese produttore delle merci.
Le imprese esportatrici potevano dedurre tutta l’imposta pagata nel loro Stato e non era più necessario un controllo fiscale alla frontiera.
In tal modo si poteva realizzare (per il 1992) l’abolizione non solo delle barriere doganali ma anche di quelle tributarie, in linea con gli obiettivi stabiliti nell’Atto Unico Europeo.
Questo obiettivo è stato raggiunto attraverso la Direttiva 91/680 che ha modificato la VI Direttiva IVA. Essa prevedeva inizialmente un regime transitorio per il quadriennio 1993-1997 caratterizzato dall’applicazione dell’attuale sistema di tassazione ai fini IVA, cioè quello del paese di destinazione; successivamente è stato deciso di prorogare tale regime fino al 2000.
La maggiore novità consiste nel venir meno, già dal periodo transitorio ed in coincidenza con l’abolizione delle barriere doganali, della riscossione dell’IVA nelle importazioni intracomunitarie.
Naturalmente sono previste nuove modalità di verifica concernenti la documentazione cui le imprese sono tenute. Essa è costituita dalle dichiarazioni trimestrali, dalle fatture e dall’attribuzione ad ogni impresa di un codice IVA. Tutto ciò allo scopo di consentire controlli e scambi di informazioni tra gli Stati membri. I meccanismi di verifica atti ad evitare le frodi fiscali si fondano essenzialmente sul regolamento 218/92.
Le aliquote IVA attualmente previste dai diversi Stati membri sono state uniformate dalla direttiva 92/77 e sono in vigore fino allo scadere del periodo transitorio. In particolare tale direttiva prevede:
— l’obbligo di applicare un’aliquota ordinaria inferiore al 15%;
— il contenimento delle aliquote ridotte al numero di due, non inferiori al 5%;
— la facoltà di applicare una aliquota ancora più ridotta per alcuni beni individuati in un allegato alla direttiva in esame;
— l’obbligo di applicare, nel periodo transitorio, un’aliquota ridotta non inferiore al 12%;
— la soppressione delle aliquote maggiorate applicate da alcuni Stati (come l’Italia che prevedeva un’aliquota del 38%).
In materia di accise (v.), il regime attuale di riscossione adotta una diversa applicazione della stessa differenziandosi in base al momento in cui colpisce la merce acquistata.
L’armonizzazione delle imposte dirette nella Comunità europea appare, invece, ancora molto lontana, soprattutto perché implica il ridimensionamento del più importante strumento di manovra economica oggi a disposizione dei governi nazionali.
L’unico settore in cui si è pervenuti ad una seppur minima armonizzazione è quello della tassazione degli utili societari e ciò al fine di evitare la doppia imposizione dei medesimi redditi in paesi diversi. Le direttive emanate sono:
— la direttiva 90/434 con la quale è stato disciplinato il regime fiscale delle fusioni, scissioni e conferimento d’attivo tra società appartenenti a Stati diversi. Obiettivo della direttiva è quello di istituire un regime fiscale unico per le operazioni transfrontaliere nel caso in cui emergano delle plusvalenze;
— la direttiva 90/435 che disciplina il regime fiscale da applicarsi alle società “madre e figlia” stabilite in Stati diversi.
Scopo della direttiva è quello di evitare che gli utili della stessa società siano tassati due volte: una prima nello Stato in cui sono realizzati e una seconda nello Stato in cui sono trasferiti, allorché vengono conferiti alla società controllante.
La norma prevede che gli utili della società controllata (figlia) vengano tassati alla fonte, mentre lo Stato in cui ha sede la società controllante (madre) può:
a) non tassare i dividendi percepiti dalla società figlia;
b) concedere un credito d’imposta per gli utili conseguiti dalla società controllata.
Un terzo provvedimento (non emanato dalle istituzioni comunitarie, ma frutto di un accordo intergovernativo) introduce una procedura arbitrale per risolvere i conflitti tra le diverse amministrazioni tributarie, qualora sorgano delle dispute con riguardo agli utili da attribuire a società madri e figlie (v. Transfer princing).
Infine, in tema di armonizzazioni fiscale, importanti novità sono contenute nel cosiddetto pacchetto Monti (dal nome del Commissario proponente) approvato globalmente dal Consiglio dei ministri fiscali alla fine del 1997.
Il pacchetto, oltre a proporre l’adozione di un codice di condotta fiscale (v.), prevede anche:
— una proposta di direttiva sulla tassazione del risparmio che riguardi solo gli interessi percepiti da cittadini comunitari non residenti;
— una proposta di direttiva che contenga misure volte all’abolizione della ritenuta alla fonte su interessi e royalty tra imprese consociate.