Teologia politica
Teologia politica
La (—) è una teoria esplicitata da Carl Schmitt nel saggio politico omonimo (scritto nel 1922). Schmitt parte dalla constatazione che tutti i concetti più importanti della dottrina moderna dello Stato sono concetti teologici secolarizzati: il Dio onnipotente è divenuto l’onnipotente legislatore. Solo con la consapevolezza di tale analogia è possibile comprendere lo sviluppo subìto dalle idee della filosofia politica negli ultimi anni. Non esiste più una legittimità tradizionale nella formazione e conservazione di uno Stato. In una situazione del genere ciò che diviene fondamentale è chi decide cosa fare in uno Stato, in pratica chi ha la sovranità, il potere.
In uno Stato di diritto si ha l’identificazione dello Stato con l’ordinamento giuridico, quindi, si sa come si deve decidere (perché si decide secondo legge, secondo norma), ma non si può sapere chi è che deve decidere; inoltre affinché la norma o l’ordinamento giuridico possa essere valido è necessario creare la «normalità», cioè il rispetto delle leggi, il che vuol dire che prima della normalità vi è, o vi è stata, l’eccezione ed è qui, secondo Schmitt, che nasce il problema della sovranità: il sovrano è colui che decide nello stato di eccezione. L’eccezione rappresenta ciò che nella teologia è il miracolo, cioè il completamente eccezionale. Ogni ordine si basa, si fonda non su una norma, bensì su una decisione. Come, del resto, già Hobbes aveva affermato: «Auctoritas, non veritas facit legem» (l’autorità, non la verità fa la legge). Il centro principale della (—) è proprio nel tentativo di spiegare la sovranità, nel senso di chi ha il potere di decidere e sull’importanza teologica che l’uomo dà al potere stesso. Schmitt compie indagini sul fondamentale significato, sistematico e metodologico, delle analogie tra teologia e costituzione dello Stato di diritto. Svolgendo dapprima un excursus storico, analizza la teoria di Leibniz, il quale afferma: «A buon diritto abbiamo trasferito il modello della nostra ripartizione dalla teologia al diritto, poiché è straordinaria l’analogia delle due discipline» (entrambe hanno un duplice principio la «ratio» e la «scriptura» - la «scrittura» sono rivelazioni e comandamenti positivi); fino ad arrivare al pensiero di Kelsen, per il quale fondamento dello Stato era la validità di ogni tipo di leggi, e Marx ed Engels. Quest’ultimo affermava: «L’essenza dello Stato come della religione è la paura dell’umanità di fronte se stessa». Schmitt continua la sua analisi fino ad ipotizzare una sorta di Stato planetario in grado di far fronte alle trasformazioni degli Stati e introduce la categoria amico/nemico. Il concetto di Stato deve presupporre quello di «politico»: l’unità politica che fa valere la sua decisione riguardo alle leggi, alla normalità, ma anche alla eccezione; presuppone la possibilità reale del nemico e la decisione sul caso di eccezione non riconducibile alla norma.
La (—) è una teoria esplicitata da Carl Schmitt nel saggio politico omonimo (scritto nel 1922). Schmitt parte dalla constatazione che tutti i concetti più importanti della dottrina moderna dello Stato sono concetti teologici secolarizzati: il Dio onnipotente è divenuto l’onnipotente legislatore. Solo con la consapevolezza di tale analogia è possibile comprendere lo sviluppo subìto dalle idee della filosofia politica negli ultimi anni. Non esiste più una legittimità tradizionale nella formazione e conservazione di uno Stato. In una situazione del genere ciò che diviene fondamentale è chi decide cosa fare in uno Stato, in pratica chi ha la sovranità, il potere.
In uno Stato di diritto si ha l’identificazione dello Stato con l’ordinamento giuridico, quindi, si sa come si deve decidere (perché si decide secondo legge, secondo norma), ma non si può sapere chi è che deve decidere; inoltre affinché la norma o l’ordinamento giuridico possa essere valido è necessario creare la «normalità», cioè il rispetto delle leggi, il che vuol dire che prima della normalità vi è, o vi è stata, l’eccezione ed è qui, secondo Schmitt, che nasce il problema della sovranità: il sovrano è colui che decide nello stato di eccezione. L’eccezione rappresenta ciò che nella teologia è il miracolo, cioè il completamente eccezionale. Ogni ordine si basa, si fonda non su una norma, bensì su una decisione. Come, del resto, già Hobbes aveva affermato: «Auctoritas, non veritas facit legem» (l’autorità, non la verità fa la legge). Il centro principale della (—) è proprio nel tentativo di spiegare la sovranità, nel senso di chi ha il potere di decidere e sull’importanza teologica che l’uomo dà al potere stesso. Schmitt compie indagini sul fondamentale significato, sistematico e metodologico, delle analogie tra teologia e costituzione dello Stato di diritto. Svolgendo dapprima un excursus storico, analizza la teoria di Leibniz, il quale afferma: «A buon diritto abbiamo trasferito il modello della nostra ripartizione dalla teologia al diritto, poiché è straordinaria l’analogia delle due discipline» (entrambe hanno un duplice principio la «ratio» e la «scriptura» - la «scrittura» sono rivelazioni e comandamenti positivi); fino ad arrivare al pensiero di Kelsen, per il quale fondamento dello Stato era la validità di ogni tipo di leggi, e Marx ed Engels. Quest’ultimo affermava: «L’essenza dello Stato come della religione è la paura dell’umanità di fronte se stessa». Schmitt continua la sua analisi fino ad ipotizzare una sorta di Stato planetario in grado di far fronte alle trasformazioni degli Stati e introduce la categoria amico/nemico. Il concetto di Stato deve presupporre quello di «politico»: l’unità politica che fa valere la sua decisione riguardo alle leggi, alla normalità, ma anche alla eccezione; presuppone la possibilità reale del nemico e la decisione sul caso di eccezione non riconducibile alla norma.